Ernesto Preatoni, Giancarlo Mazzuca
La vita oltre l’EuroEsperienze e visioni di un economista pragmatico
Da Il Giorno del 7 gennaio
È «il punto di rottura che si avvicina». La prova, dice, «che il sistema, così, non può più reggere» e che «bisogna decidersi ad affrontare la situazione in modo adeguato, e farlo al più presto». Ernesto Preatoni, l’imprenditore milanese che ha fatto di Sharm El Sheikh una capitale del turismo e autore, con Giancarlo Mazzuca, del recente saggio «La vita oltre l’euro» (Rubbettino Editore), invita a leggere oltre le righe quanto sta avvenendo in Grecia. «Non so se sarà lo strappo di Atene – spiega – a decretare che la fine dell’euro è arrivata. Ma di certo è il momento di elaborare una strategia per pianificare un’uscita dalla moneta unica non disordinata. E l’Italia è tra i primi Paesi che dovrebbe farlo»
Ma l’Ue esclude che i Paesi dell’eurozona possano abbandonare la monete unica. Le sue critiche oll’euro sono note. Penso che le sue previsioni si stiano avverando?
«Guardiamo cosa sta succedendo ai mercati. Fanno paura perché si muovono solo in funzione della finanza (cioè, in questo momento, sulla base di una serie di aspettative legate a eventi come le recenti dichiarazioni di Mario Draghi), senza rispecchiare la reale situazione economica. Che tutto giri intorno all’ipotesi di un’iniezione di liquidità da parte della Ecc è molto pericoloso».
È un modo partrovaro una soluzione…
«Da due giorni i mercati crollano. Eppure cosa è successo di nuovo? Nulla. Perché la situazione della Grecia era già un dato di fatto, il calo del petrolio lo stesso. Trovo pericoloso che si tenti di trovare una giustificazione razionale al comportamento dei mercati. In realtà, se la fiducia dei mercati dovesse calare e i tassi salire, collocare titoli di Stato a tassi bassi non sarà più possibile. Ma è quello che prima o poi succederà. E quando avverrà dovremo uscire dall’euro per forza».
Ma le conseguenze sarebbero cotastrafiche, questo lo so anche lei.
«Trasformare il debito pubblico, che era in lire, in una moneta straniera è stata una follia. Uscire dall’euro è una tragedia, ma è un problema che dovremo affrontare.
Ed è bene farlo al più presto. Non si può sperare di procrastinare all’infinito un redde rationem ormai inevitabile».
Lei ha la soluzione?
«Bisogna impegnarsi a trovarla. E il primo passo è dare l’incarico di gestire questa situazione a qualcuno di diverso da quelli che finora non hanno voluto farlo per ragioni politiche. Mi stupisce che ancora nessuno abbia chiesto conto a chi ci ha messo in questo stato dei danni che abbiamo subito».
Si poteva prevedere quanta sta avvenendo in questi giorni?
«Io l’avevo visto più di cinque anni fa. Un tempo venivo criticato per queste mie previsioni, ora devono prendere atto che avevo ragione. Mi pare che molti economisti e commentatori che un tempo prendevano le distanze dalle mie posizioni oggi sono costretti a rivedere il proprio giudizio».
La Grecia è un punto di svolta?
«Non necessariamente. La scelta di uscire dall’euro è politica e non economica. Certo, però, il caso è scoppiato. Se la Grecia dovesse uscire dall’euro sarebbe l’inizio della disgregazione».
Lei vede un rischio contagio?
«Assolutamente. Le economie che viaggiano a velocità diverse ma adottano la stessa moneta vivono tensioni fortissime. Arrivare a un punto di rottura è inevitabile. Bisognerebbe almeno evitare di dover lasciare la moneta unica in modo disordinato».
C’è un’alternativa?
«Farlo in modo organizzato. Per esempio prevedendo una camera di compensazione diversa da quella attuale. Oggi infatti le transazioni internazionali avvengono attraverso la cosiddetta Target 2, che prevede unicamente l’utilizzo dell’euro. Senza trovare un’alternativa a questa camera di compensazione, acquistare i prodotti dei Paesi dell’eurozona per chi avesse lasciato la moneta unica sarebbe impossibile».
Cosa decreterà la fine dell’euro?
«La reazione a una serie di provvedimenti tampone. E poi la vittoria, sul piano politico, di partiti antieuropeisti. Per questo, se vogliamo evitare il peggio, dobbiamo
muoverci adesso».
di Sandro Neri
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