da Il Quotidiano della Calabria del 14 Maggio
Il titolo di quest’ultimo volume (Povera Calabria) della benemerita collana “Viaggio in Calabria”, diretta da Vittorio Cappelli ed edita dall’editore Rubbettino (dirò subito perché è meritoria), non deve trarre in inganno; non è il solito compendio di letteratura antimeridionalista da parte di qualche sprovveduto intellettuale mitteleuropeo; non è l’ovvia cronistoria dei mali e delle miserie di una regione italiana che, nonostante tutte le sue problematicità di lunga durata, è stata, dal Settecento in poi, molto visitata da noti e meno noti viaggiatori italiani e stranieri; niente di tutto ciò rientra in questi modelli. Se si vuole dare un giudizio immediato, perentorio, è decisamente il contrario: il volumetto è tutt’altra cosa e lo si vedrà presto. Anzitutto, per l’Italia, il testo è inedito ed originale e si inserisce oltremodo nel progetto editoriale che, di per sé, fino ad oggi, ha presentato e presenta elaborati inattesi, molti dei quali mai apparsi nel nostro paese e sconosciuti, per di più, al pubblico dei cultori della materia. Opere insolite di narratori, anche, insoliti, eccentrici per la loro provenienza culturale, che rendono l ‘interaproposta di letture, singolare ed innovativa. Con questa elocuzione, “Povera Calabria” del romanziere Friedrich Werner Van Oestéren, austriaco di nascita, ma discendente da una nobile famiglia di origini fiamminghe, si accenna unicamente ad un evento specifico, cioè alla ulteriore tragedia (per il momento l’ultima di tante altre), che, nel corso dei secoli, ha colpito l’area dello Stretto: il terremoto del 1908, avvenuto qualche settimana dopo la conclusione del tour. La calamità, drammatica per la Calabria ed anche per l’Europa intera, non rimane staccata dal contesto; ad essa si aggiunge l’amarezza, la grande preoccupazione che tormenta il Nostro alla notizia che luoghi, da lui visitati, con grande piacere e grande attenzione culturale, possano essere stati ridotti ad un cumulo di resti. Il suo è un timore sincero, esternato con molta spontaneità.
Detto questo, il viaggio di Van Oestéren, pubblicato per la prima volta in Italia dal germanista Teodoro Scamardì, che prima l’ha tradotto in italiano e poi ha provveduto alla cura dello stesso, può essere definito, forse, con una certa enfasi, quasi un inno alla Calabria. Il giro inizia nel maggio 1908 e la visita nasce, indubbiamente, sull’onda, della pubblicazione del libro di un viaggiatore svizzero, il letterato Joseph Viktor Widmann, che nel 1903 si era recato in Calabria e in Puglia. Bisogna affermare prontamente un concetto. Le sole suggestioni letterarie, pur provenienti da uno studioso che l’austriaco riteneva suo maestro, non bastano a giustificare la decisione, presa da tempo; ci sono ben altre motivazioni più razionali a spingerlo a compiere l’esplorazione della regione e che, contemporaneamente, denotano anche la grande cultura del visitatore. Pur consigliato a non intraprendere un approccio di un territorio infestato dal brigantaggio (ancora nel 1908, nell’immaginario europeo la percezione di una Calabria brigantesca continuava ad essere radicata in molti ceti sociali), lo scrittore si mette in cammino guardato con ammirazione, soprattutto, da qualche signora della buona borghesia, disposta a dare “non sa che cosa pur di partecipare a quel tour “, pericoloso sicuramente ma che nell’insieme, tutto sommato, aveva qualcosa di misterioso. Il romanticismo, infatti, in quegli anni, affascinava le persone colte e desiderose di misurarsi con avventure non comuni, non alla portata di tutti. Ed è proprio quest’ultima sembianza dell’ignoto (usiamo una iperbole) ad incoraggiarlo a prendere in considerazione la gita nell’ estremo lembo della penisola italiana. Per Van Oestéren, la Calabria è la più romantica delle province italiane e per questo è più qualificata a suscitare aspettative che le altre regioni più importanti “non lo consentirebbero”.
La Calabria, diventa così per l’austriaco, l’Altro più a portata di mano, l’esotico dietro l’angolo, il luogo dove un viaggiatore può pensare di trovare una natura incontaminata e un’umanità primigenia. Composita è l’idea della Calabria che egli ci lascia. Alle influenze della Magna Grecia, sempre attuali in molte zone dove egli si ferma, si aggiungono alcune inedite suggestioni, quali: l’origine saracena di alcune marine ioniche che vennero occupate da questo popolo musulmano; la fioritura del monachesimo basiliano che protesse la cultura dallo sterminio; l’accostamento dell’ambiente montano allo scenario alpino della Svizzera e dell’Austria; le macerie di terremoti precedenti che fanno bella mostra. Un esempio: quelle del monastero di San Domenico di Soriano, abbattuto nel 1783, le cui rovine appaiono quasi in sintonia col campo visivo. I reperti sparsi all’ intorno o gettati alla rinfusa non rappresentano più la fotografia del degrado della zona, ma, viceversa, raffigurano l’allegoria di un nuovo mondo, di una nuova epoca storica. “La Calabria scrive -il curatore- diventa paradossalmente una metafora del moderno, della sua frammentazione irrelata”. Il paesaggio, infine, che cambia di continuo, è l’esperienza più gratificante della sua escursione in terra calabrese, un paesaggio molto variegato e nelle pagine ci sono riferimenti pregevoli sulle varie località che egli ha modo di visitare: Catanzaro con i suoi vicoli e vicoletti, poi Cosenza e il fascino della storia di Alarico, Reggio e l’incanto dei suoi paesaggi, l’Aspromonte, Monteleone, Serra San Bruno. L’ultimo saluto, prima di prendere il treno per tornare a casa, alla stazione di Porto Santa Venere. È solo un commiato non un addio a una terra “per tutti quei panorami stupendi che mi aveva mostrato e per tutte quelle ore meravigliose che mi aveva regalato”. Arrivederci, bella Calabria.
di Giuseppe Masi
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