Da Itaca 29 Luglio
Settecento pagine, seicentocinquanta foto a colori, centocinquantadue itinerari escursionistici, una grande carta geografica, la prefazione di Fulco Pratesi. Queste le credenziali della guida (ma chiamarla guida è riduttivo) che Francesco Bevilacqua dedica al Parco Nazionale del Pollino.
Un parco che, con i suoi centoottantamila ettari è la più vasta area protetta d’Europa. Frutto di una lunga e defatigante battaglia (della quale Bevilacqua dà ampiamente conto rievocando l’intera storia dell’area) che partì dal 1964, quando lo zoologo Alberto Simonetta indicò l’alto valore ambientale di quell’area a cavallo tra Basilicata e Calabria.
Dopo defatiganti battaglie (nelle quali Bevilacqua ebbe una parte importante, come presidente del WWF Calabria) combattute contro speculatori immobiliari (che proponevano un carosello d’impianti sciistici e di villaggi turistici), ma anche contro la gran parte del mondo politico di allora e della stampa locale il decreto istitutivo dell’ente parco si concretizzò nel 1993.
Vi erano stati persino atti vandalici per impedire la realizzazione del parco: è rimasto tristemente famoso l’incendio del monumentale pino loricato millenario, detto “Zi Peppe”, della grande porta del Pollino, che era divenuto ormai il simbolo del parco.
Oggi, il Parco Nazionale del Pollino è considerato la più famosa e importante area protetta del Sud Italia che va dalla Valle del Sinni, a nord, in Basilicata, sino al Passo dello Scalone, a sud, in Calabria. Ma anche con una popolazione di ben centosettantamila abitanti, che vivono in cinquantasei comuni, alcuni dei quali ritenuti tra i borghi più belli d’Italia.
Nella biodiversità del parco spiccano presenze faunistiche come il capriolo appenninico (l’ultimo nucleo autoctono dell’Italia meridionale), il lupo (una delle popolazioni più numerose d’Europa), la lontra, l’istrice, la martora, il driomio, l’aquila reale, il gufo reale, il falco pellegrino, l’avvoltoio capovaccaio, il grifone (recentemente reintrodotto), il colubro leopardino la trota macrostigma, la rosalia alpina, e specie botaniche come il pino loricato, il pino nero, l’abete bianco, il faggio, il cerro, il castagno, varie
specie di ontani e di aceri…
Non sono da meno l’archeologia (famosissimo il bovide graffito da un ignoto artista del Paleolitico su una roccia all’esterno della Grotta del Romito, nelle campagne di Papasidero), l’architettura, l’arte, le tradizioni: emozionanti e sentite le feste degli alberi, tra cui spicca quella di Alessandria del Carretto, immortalata in un cortometraggio da Vittorio De Seta nel 1959, ma anche i riti legati ai culti mariani in vari santuari, fra i quali Madonna del Pollino (San Severino Lucano), Santa Maria dell’Armi (Cerchiara di Calabria), Madonna del Pettoruto (San Sosti), ed il cruento rito dei flagellanti di Verbicaro.
Per non parlare della minoranza etnica italo-albanese, ben rappresentata sia sul versante lucano che su quello calabro. E, per concludere questo quadro generale, il paesaggio, che spazia dalle grandi montagne di roccia (Monte Alpi, Monte La Spina, Serra Dolcedorme, Monte Pollino, Serra di Crispo, Serra delle Ciavole, Timpa di San Lorenzo, Montea, Monte La Caccia, Monte Petricelle), alle gole fluviali ed ai canyon (Raganello, Sarmento, Caldanelle, Grimavolo, Caccavo, Lao, Argentino, Rosa, Grondo, Occido), dai boschi estesi (Fagosa, Principessa, Teduri, Malboschetto, Magnano, Sparviere, Spinazzeta) agli alberi monumentali e ultracentenari (pini loricati, abeti bianchi, pini neri, faggi, cerri, aceri, querce castagnare, castagni), dai monumenti litici (Pietra Colonna, Pietra Campanara, Pietra Palomba, Dito del Diavolo, Pietra Portusata, Tavola dei Briganti) ai grandi pianori erbosi (Piani di Pollino, Campo Tenese, Piano di Campolongo, Piano Grande, Piano di Novacco).
Dovunque, sui crinali e le cime, dove il bosco si dirada e lascia spazio alla vista, si aprono panorami incomparabili in tutte le direzioni e che spesso racchiudono la vista contemporanea del Mar Ionio e del Mar Tirreno.
Nel suo libro, Bevilacqua racconta, con parole e immagini, tutto questo e molto altro. Ma, soprattutto, delinea il suo personale modo di interpretare la storia del territorio e il rapporto fra uomini e luoghi.
La funzione del libro (ma anche dei diciassette altri libri facenti parte della ricca bibliografia dell’autore) è quella di condurre per mano, non solo i visitatori esterni ma anche abitanti locali. Perché il giudizio di Bevilacqua è tranciante: negli ultimi sessant’anni (praticamente dal secondo dopoguerra in poi) il legame tra uomini e luoghi si è andato affievolendo sin quasi a scomparire. Tutto questo a causa dell’emigrazione di massa, dello spostamento delle popolazioni residenti dai paesi di montagna e di collina alle coste, della decadenza della antiche attività agro-silvo-pastorali, della grave
cancellazione delle culture locali. Ed è su questi temi che Bevilacqua batte molto nel secondo capitolo del libro, intitolato “Geografia, paesaggio, problemi di conservazione e sviluppo”. Senza sottrarsi a indicare prospettive per una rinascita, una rigenerazione dei territori. Le vie sono diverse ma convergono, secondo l’autore, verso un unico obiettivo: riannodare il legame reciso tra uomini e luoghi; fare in modo che gli abitanti dei paesi tornino a essere orgogliosi delle loro culture e dei loro paesaggi, che la gente si faccia custode della propria identità, che i forestieri siano accolti e accuditi come ospiti e amici e convinti a farsi abitanti prima ancora che turisti; riscoprire le antiche attività agricole ed artigianali e praticarle in modo moderno ma con la sapienza antica; custodire, proteggere e valorizzare con rispetto beni culturali e paesaggio; cambiare radicalmente la mentalità della politica locale e dar vita ad una nuova politica dal basso che veda protagonisti i singoli cittadini, gli operatori economici, gli uomini e le donne di cultura, i detentori di antichi saperi. Solo così, sostiene Francesco Bevilacqua, il Parco Nazionale del Pollino potrà diventare uno straordinario attrattore, un modello di risveglio per tutto il Sud.
Secondo l’insegnamento di Salvatore Settis: “Gli abitanti perdono la memoria di se stessi, e senza nemmeno accorgersene diventano stranieri per se stessi, nemici di se stessi. A voi cittadini spetta un compito vitale e una grave responsabilità: mostrare e dimostrare che la diversità e la bellezza non sono una pesante identità del passato, ma uno straordinario dono per vivere il presente ed una straordinaria dote per costruire e garantire il futuro”.
Di Massimo Vivarelli
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