L’Euro nasce nel momento di maggiore debolezza della politica italiana. Il vuoto creato da Tangentopoli e l’affossamento della nascita di un nuovo grande partito moderato permettono, da una parte, la svendita delle maggiori industrie statali, e dall’altra l’adesione alla moneta unica a condizioni capestro insostenibili.
È una storia poco conosciuta e agghiacciante quella raccontata dal vicedirettore del Tg1 Angelo Polimeno Bottai nel suo ultimo ultimo libro “Altro Tradimento”. In questa nuova puntata di “Testa o Croce” ripercorriamo con lui alcuni passaggi di questa drammatica pagina in grado di spiegare le ragioni del declino italiano.
Da Tangentopoli alla svendita dei gioielli italiani
L’ingresso nella moneta unica è stata l’ultima tappa di una lunga operazione politico-economica cominciata negli anni di Tangentopoli e proseguita fino ai giorni nostri, e che ha pesantemente danneggiato l’Italia. Non sto facendo una critica all’Euro in sé, ma al modo in cui l’Italia è stata portata all’interno della moneta unica ed alla superficialità con la quale la dirigenza italiana in anni cruciali ha sottoscritto accordi capestro che hanno gravemente condizionato il nostro Paese.
L’inchiesta di Tangentopoli ha creato un enorme vuoto politico in Italia, e in quel vuoto si sono inserite delle forze economico-finanziarie che hanno preso in mano le redini del Paese, con una visione di interesse particolare e non generale. Questo ha portato l’Italia su un binario sbagliato con gravi conseguenze.
Negli anni in cui il Paese era particolarmente debole dopo le inchieste che hanno raso al suolo i partiti di governo, le stragi della mafia, la speculazione sulla lira con la perdita di valore del 30%, al largo di Civitavecchia arrivò il panfilo della regina d’Inghilterra. È il 2 giugno 1992, giorno della festa della Repubblica con il governo Andreotti dimissionario. A bordo ci sono i rappresentanti delle grandi banche mondiali come Goldman Sachs. Pochi giorni dopo ci sarà la strage di Capaci. Su quel panfilo vengono svenduti i gioielli dello Stato, grandi imprese pubbliche come l’Iri e l’Eni che erano state il volano dello sviluppo dell’Italia nel dopoguerra.
L’affossamento del Piano Guarino
Cosa è accaduto dopo l’incontro sul panfilo? Questa è una storia meno nota che racconto nel libro grazie alla testimonianza del professor Guarino, oggi 96enne e tra i protagonisti di queste vicende.
Stiamo parlando del più grande avvocato di diritto amministrativo ed europeo, braccio destro di Guido Calvi, due volte ministro. Sarà, nel 1992, l’ultimo ministro alle partecipazioni statali, nel governo Amato, con delega proprio alle privatizzazioni. È favorevole ad una vendita finalizzata alla massimizzazione dei ricavi per poter ripianare il debito pubblico. Appena insediato prepara un piano di dismissione razionale: invece di vendere le grandi imprese statali alla spicciolata con ricavi minimi si doveva procedere con la creazione di due grandi holding che potessero attirare l’attenzione dei grandi investitori. Nel governo il suo piano ottenne inizialmente un grande consenso, era d’accordo anche Ciampi, allora governatore della Banca d’Italia, così come Psi e Pci.
Guarino venne poi contattato dai rappresentanti di imprese italiane che volevano offrire una cifra quasi offensiva per i pezzi migliori del pacchetto, ma lui si impunta e non cede. Pochi giorni dopo, senza alcuna apparente ragione nel suo governo, c’è un drastico dietrofront. Amato dice che bisogna vendere subito ed in fretta, il piano razionale non va più bene: si apre così una guerra terribile di tutto il governo contro Guarino. Si cerca di affidargli un altro ministero, di farlo dimettere, subisce il ritiro delle deleghe. Guarino viene denunciato dal suo stesso governo al tribunale dei ministri, caso unico nella storia. Il finale è amaro: i gioielli dello Stato verranno venduti a prezzi ridicoli. Comprati a dieci, rivenduti in alcuni casi anche a cento volte di più, con guadagni agghiaccianti.
Il vuoto politico e la dimissione statale
L’Italia era tra i paesi più ricchi del mondo con un alto debito pubblico ma, come si evince nelle memorie di Guido Carli, quel debito era quasi totalmente in mani italiane, la ricchezza privata era decisamente superiore. Crescevamo ad una media del 3%, il debito pubblico di allora era minore di oggi. Il declino italiano è stato figlio di un grande errore: nessun paese si poteva permettere di far sparire il proprio assetto politico.
In fretta e furia, per errore o malafede, questo vuoto politico determinò una frettolosa dismissione dell’apparato industriale dello Stato. Ci furono migliaia e migliaia di prepensionamenti e casse integrazione da pagare con pesi enormi a livello di uscite ed un indebolimento del sistema economico italiano. Per cercare una soluzione entrarono in gioco delle persone illuminate: compresero che quel vuoto politico andava colmato al più presto.
Doveva nascere un nuovo grande partito moderato capace di una politica strategica: un partito liberale con una spiccata attenzione al sociale. Guarino fu tra i promotori di questo progetto di cui conserva un minuzioso dossier composto da 200 cartelle con il resoconto di tutti gli incontri. A questa trattativa parteciparono i massimi vertici delle istituzioni e della politica: il presidente della Repubblica Scalfaro, il premier Dini, Berlusconi, D’Alema, altre figure politiche come Gianni Letta. Anche i vertici della Chiesa Cattolica. Un negoziato che rimase segreto per circa due anni. Purtroppo alla fine non riuscì a centrare il suo obiettivo perché ci furono delle forze che lo fecero fallire. Questo progetto avrebbe acceso i riflettori sulle privatizzazioni, aperto un dibattito sul nuovo indirizzo da dare a questa complessa operazione. Ci furono degli appetiti che fecero cadere questo progetto: la dismissione del patrimonio industriale proseguì dunque indisturbata. Stet compresa, la gallina dalle uova d’oro. Eravamo alla vigilia della grande esplosione tecnologica legata alla telefonia. Da lì nasceranno Telecom, Tim, Omnitel ecc. La Stet venne svenduta a cifre irrisorie, le aziende che nacquero da quella società vennero poi ricomprate a cifre superiori anche di cento volte il prezzo originario d’acquisto.
La vera storia dell’Euro
La stessa classe dirigente che si era battuta per liquidare in fretta il patrimonio dello Stato e per evitare che si ricostituisse un grande partito moderato sarà poi la stessa chiamata a gestire l’operazione Euro. L’Italia si era seduta a discutere il trattato di Maastricht con una personalità di grandissima autorevolezza, stimatissima in campo internazionale, soprattutto dalla Germania: Guido Carli si batterà a quel tavolo affinché i famosi parametri vengano fissati in maniera da poter essere sostenuti.
Quando si discute il rapporto tra deficit-pil con la soglia da raggiungere del 60%, all’inizio degli anni ’90, il debito italiano è del 105%. Carli disse che l’Italia non poteva partecipare a quelle condizioni, ci sarebbe stata una catastrofe economica. Se invece l’impegno a migliorare i conti fosse stato graduale, Carli si sentiva nelle condizioni di poter dare la disponibilità ad assumere quell’impegno. Una discussione che andò avanti per mesi. Il trattato di Maastricht prevedeva il criterio della tendenzialità, la verifica dei parametri andava fatta ogni anno in modo graduale, senza un rientro a tamburo battente. Prevedeva in caso di crisi straordinaria la sospensione della verifica degli obiettivi finché la tempesta non fosse superata. Il trattato aveva valore costituzionale e poteva essere cambiato soltanto con un altro trattato europeo, con procedure complesse come l’approvazione da parte di tutti i parlamenti nazionali. Entrò in vigore il 7 febbraio 1992.
Il mese successivo scoppiò Tangentopoli, la politica italiana viene rasa al suoloe la Germania parte all’attacco. Approfittando della debolezza italiana fa di tutto per cambiare il trattato con un semplice regolamento, il cosiddetto patto di stabilità, e a questo scopo iniziano pressioni fortissime sull’Italia.
Al posto della complicata procedura di approvazione di un trattato, sarebbe bastata la riunione tra capi di governo. L’Euro che abbiamo oggi nelle tasche non è quella approvata democraticamente da parlamenti e cittadini ma è un’altra cosa, mai approvata da nessuno. Quel patto cancellò il criterio della tendenzialità, fissando regole stringenti, aggirando i trattati con regole capestro che prevedevano il rientro del debito pubblico in modo insostenibile.
Da quel patto scellerato dipenderà il taglio delle pensioni, del costo del lavoro arrivato oggi a livelli drammatici, la chiusura di tante imprese. Ed il debito si è per caso abbattuto? Assolutamente no, è comunque continuato a crescere con tutti i governi, di ogni colore. Intanto il Pil continua a scendere. Questa è vera la tragedia.
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