Le due lettere al conte di Aberdeen sui processi politici del governo napoletano (1851). I documenti dell'Archivio di Stato di Napoli
a cura di Anna Poerio Riverso
Anna Poerio Riverso ricostruisce nel suo libro dedicato al proprio avo, illustre detenuto nelle carceri borboniche, l’impegno del grande politico britannico in favore dei prigionieri politici delle Due Sicilie. Rivive la testimonianza choc che fece tremare il trono di Ferdinando II
Nel 1850 Antonio Panizzi, un esule che sin dal 1831 ricopriva un posto di riguardo nella Biblioteca del British Museum di Londra, convinse lo statista inglese William Gladstone a visitare Napoli.
L’intento del Panizzi era duplice: da un lato, infatti, il suo invito era dettato dall’amichevole sollecitudine per la salute della figlia dell’uomo politico britannico, affetta da una malattia agli occhi che si sperava potesse essere combattuta grazie al clima mite del suolo partenopeo.
Ma il viaggio di Gladstone, nelle intenzioni del bibliotecario italiano, avrebbe avuto anche uno scopo politico preciso. Spesso, infatti, Panizzi aveva parlato all’amico inglese delle critiche condizioni dei prigionieri incarcerati nelle galere del Regno delle Due Sicilie dopo i fatti del 1848: il soggiorno napoletano avrebbe dato pertanto a Gladstone la possibilità di constatare personalmente cosa stava accadendo nel regno di Ferdinando II di Borbone.
Nell’ottobre del 1850, prima di partire per Napoli, sir William fece visita a Londra all’ambasciatore borbonico Paolo Ruffo, principe di Castelcicala, per informarlo del suo imminente viaggio. Dopo questo incontro, il principe di Castelcicala indirizzò una lettera al ministro degli Esteri Giustino Fortunato, raccomandandogli di accogliere Gladstone con la sua solita cortesia e bontà.
Alla fine di quello stesso ottobre, lo statista inglese giunse a Napoli, prendendo alloggio alla casa Dupont, al numero 5 di via Chiatamone. Nei quattro mesi del suo soggiorno colse fra l’altro l’occasione di visitare i luoghi più rinomati della città, fra cui la tomba di Giacomo Leopardi, del quale era profondo ammiratore e studioso.
Il 16 novembre Lord Leven offrì un pranzo all’Albergo delle Crocelle. Qui Gladstone conobbe Giacomo Lacaita da Manduria, patrocinatore in Corte civile e consigliere presso la Legazione britannica a Napoli. Nel corso delle loro conversazioni, Lacaita, intimo amico ed estimatore di Carlo Poerio, raccontò che questi, per aver sostenuto l’applicazione nel Regno delle istituzioni costituzionali moderate di tipo inglese, era rinchiuso in carcere e sottoposto al «mostruoso» processo che si discuteva presso la Gran Corte della Vicaria.
Gladstone, vivamente interessato, volle assistere assiduamente alle udienze, riportandone una penosa impressione: udì la requisitoria del procuratore generale Angelillo il 4, 6 e 7 dicembre e, successivamente, ascoltò sia le arringhe degli avvocati difensori sia le autodifese di Agresti, Nisco, Pironti, Settembrini e Poerio. Al termine del processo, quando ormai ai prigionieri era stata comminata la pena, Gladstone fu anche testimone del trattamento da loro subito in galera. Egli, infatti, ebbe modo di far visita clandestinamente a Carlo Poerio all’interno del carcere di Nisida nel mese di febbraio del 1851.
Tornato in Inghilterra, il 7 aprileindirizzò al Primo Ministro Lord Aberdeen una lettera in cui descriveva con accenti di accorata indignazione la condizione deplorevole dei condannati e delle prigioni del Regno borbonico, sperando che ciò avrebbe potuto indurre il governo napoletano a migliorare la disperata situazione dei reclusi. Dal canto suo Lord Aberdeen, dopo aver ricevuto la lettera, ritenne opportuno informare immediatamente l’ambasciatore del Regno delle Due Sicilie a Londra, prospettando la possibilità di impedirne la stampa se Ferdinando II si fosse impegnato a mitigare la condizione carceraria dei patrioti: in tal senso, il 22 maggio, inviò una missiva al principe di Castelcicala accludendo una copia della lettera scrittagli da Gladstone.
Castelcicala, a sua volta, decise di scrivere subito a Napoli al ministro degli Esteri Giustino Fortunato e al segretario particolare del re, Leopoldo Corsi. Fortunato, subito dopo aver ricevuto la lettera di Castelcicala, si accinse a preparare una smentita alle affermazioni di Gladstone; ritenne inoltre opportuno informare di quanto avvenuto i rappresentanti dei vari governi europei.
Verso la fine di giugno Lord Aberdeen chiese di incontrare il principe di Castelcicala per discutere del problema evidenziato da Gladstone. Il 24 giugno Castelcicala indirizzò una lettera a Giustino Fortunato accludendo il biglietto di Aberdeen con la richiesta di un colloquio e riferendogli quanto sir William aveva recentemente dichiarato allo stesso Lord Aberdeen: lo statista britannico continuava a sostenere di aver visto personalmente ciò che aveva descritto. Quindi, se entro la prima settimana di luglio non avesse ricevuto alcun riscontro, egli non avrebbe più aspettato a rendere nota la questione al pubblico e alle Camere. Se invece il governo napoletano avesse liberato Carlo Poerio, Gladstone si sarebbe sentito soddisfatto e avrebbe taciuto.
Dopo aver a lungo atteso, visto che la sua lettera a Lord Aberdeen non aveva conseguito il risultato sperato, Gladstone si rese conto che era arrivato il momento di renderla pubblica e scrisse al Panizzi: «Devo assolutamente stampare la prossima settimana, a meno che non venga a sapere che qualcosa di buono sia stato fatto».
La pubblicazione, come è noto, avvenne; anzi: l’autore diede alle stampe, insieme con la prima, una seconda lettera indirizzata al medesimo destinatario. Lo scandalo internazionale che ne derivò fu enorme: il danno inflitto all’immagine del governo di Ferdinando II nelle cancellerie e nell’opinione pubblica europea, e perfino americana, si rivelò ben presto irreparabile. Da allora ebbe larga fortuna lo stereotipo del regime vigente in Napoli come «negazione di Dio». Questa definizione non fu coniata da Gladstone, come erroneamente si crede, ma da questi raccolta, a suo dire, dalla voce popolare.
A poco valsero i tentativi di replica da parte della propaganda borbonica, puntualmente documentati in una recentissima monografia della ricercatrice e docente Anna Poerio Riverso, Carlo Poerio e William Gladstone. Le due lettere al conte di Aberdeen sui processi politici del governo napoletano (1851). I documenti dell’Archivio di Stato di Napoli (Rubbettino, Soveria Mannelli 2020), che si avvale di un’introduzione di Renata De Lorenzo ed è arricchita dalla traduzione dei saggi di Denis V. Reidy (Panizzi, Gladstone, Garibaldi e i prigionieri politici napoletani), Steven Soper (I prigionieri dell’Italia Meridionale sulla scena della politica internazionale) e Pierre Marie Delpu (La fabbrica mediatica di un martire liberale: il caso Carlo Poerio, 1851-1859).
La Poerio corrobora la sua narrazione storica mediante il ricorso puntuale alle fonti documentarie conservate presso l’Archivio di Stato di Napoli: in particolare alla corrispondenza diplomatica di Giustino Fortunato, compresa nella busta 4362 del fondo Ministero degli affari esteri («Affari Riservati dell’On. W. Ed. Gladstone 1851») e nella busta 1438 dell’Archivio Borbone («Lettere di Gladstone»).
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