Piccoli bugiardi è la decennale e rocambolesca avventura di Alpin, un giovane di provincia che cerca di emanciparsi a cittadino, prima come studente, poi come impiegato in una delle grandi imprese della capitale, Tirana. Alpin è anche alla ricerca della sua donna ideale che scopre prima in Viola, poi in Rovena e infine in Emma: amori che lo avvincono, lo turbano e lo attraversano, e che si dissolvono – chissà in quale angolo d’Europa – facendo perdere le loro tracce. Con acuta ironia, e una prosa seducente dall’inizio alla fine, Kongoli dispiega magistralmente un quadro della realtà di oggi, non solo albanese. Una realtà selvaggia dai profondi contrasti in cui l’individuo comune è estremamente debole, quasi indifeso, alla mercé del più potente. Ma chi sono i “piccoli bugiardi”?
La mia lettura
Piccoli bugiardi, il romanzo dell’autore albanese Fatos Kongoli, racconta principalmente l’amore stricto sensu che il protagonista Alpin ricerca affannosamente secondo dei canoni ideali, l’amore per le proprie origini, per la propria terra che continua ad essere terra di partenze, l’amore rappresentato dalla famiglia che storicamente in Albania è il nucleo su cui si fonda l’equilibrio, la coesione sociale perché parliamo di un popolo che ha affrontato numerose guerre e colonizzazioni dunque la famiglia è la certezza per eccellenza.
Non parlerei di vera e propria “letteratura della memoria” in questo caso tuttavia ho trovato, in filigrana, riferimenti al passato che si capisce essere ancora ricordo doloroso.
“La mia prima infanzia collima col tempo in cui ogni famiglia del paese poteva tenere una sola mucca, nemmeno una pecora, le pecore dovevano stare nel gregge, chi violava queste regole era multato, egli poteva anche finire peggio. Ho sentito una curiosa storia di un abitante del paese il quale, oltre alla mucca dichiarata, ne teneva un’altra di nascosto in casa, in una di quelle stanze accanto alla camera da letto, e ciò andò avanti per anni, finché il membro illegale della famiglia fu scoperto e quei disgrazia- ti piansero a dirotto per esserne stati separati con violenza. Noi abbiamo avuto sempre soltanto una mucca. Essendo privilegiati in un villaggio privilegiato, mio padre non mi mandava a fare il vaccaro. Ogni volta che alla nostra famiglia toccava il turno di tenere al pascolo la mandria di mucche del quartiere, quest’obbligo, durante le vacanze, quando la scuola era chiusa, era assolto dalle mie sorelle.”
Piccoli bugiardi è ambientato tra Tirana (come spesso accade nei romanzi di Kongoli) e un villaggio di fantasia, N., situato nella provincia rurale, Fatos Kongoli è definito “lo scrittore della transizione” perché la maggior parte della sua produzione è da ricondurre al periodo immediatamente successivo alla caduta della dittatura (dal 1990 in poi dunque), qui come in “Un uomo da nulla” la provincia e la città sono in antitesi e il desiderio di “trattenere” in patria i suoi personaggi è molto sentito, c’è la necessità di immaginare un futuro in cui si può scegliere di rimanere.
Lo sguardo dell’autore e dei suoi personaggi, verso l’Albania e verso il “fuori” ha una ambivalenza che si può facilmente immaginare rappresentata dall’aquila a due teste della bandiera albanese.
Il tema della menzogna è anche questo ricorrente nelle sue opere, le angherie perpetrate ai danni dei puri di spirito, di chi guarda il mondo senza pregiudizi e senza essere prevenuti sono il male da cui difendersi perché l’uomo comune, quello che affronta le cose con onestà intellettuale non è destinato ad avere soddisfazione in questo “mondo di ladri”.
Piccoli bugiardi ha una struttura narrativa particolare, alcune parti sono in forma di diario anche se cronologicamente ci vengono rivelate solo le pagine dell’agosto del 2015 e sarà compito del lettore darsi una spiegazione per questa scelta, altre parti seguono una sorta di dialogo diretto con un interlocutore che ho immaginato possa essere anche il lettore stesso, io mi sono sentita tirata in causa! In quanto al titolo, Piccoli bugiardi, è molto interessante dal momento che diversi personaggi che circondano il protagonista, Alpin, sono in realtà dei “grandi bugiardi” destinati a deludere le sue aspettative, ad approfittare della sua buona fede.
Ma all’inizio ho scritto che un tema centrale qui è l’amore che Alpin declina nei rapporti con tre donne che sono tre paradigmi di femminilità: Viola, Rovena ed Emma, anche in questo caso l’idea che mi sono fatta è che siamo di fronte ad una metafora:
“[…] il periodo con Viola, al paese, il primo tempo di un concerto incompiuto per piano o violino, come preferisci, lo chiamerei Innocenza”
Viola è l’unica donna che Alpin considera animata da sentimenti sinceri nei suoi confronti ed è per questo che l’ha idealizzata, è l’amore incompiuto, quello scritto nelle lettere mai consegnate, è la possibilità che rimane tale e quindi non rischia di generare delusioni.
La figura di Rovena a me è piaciuta, è una donna senza troppi filtri, risoluta, ma rimane una sorta di enigma e forse, nel suo caso possiamo anche parlare di “piccola bugia” riferendoci al brevissimo rapporto tra lei e Alpin.
Emma è l’antitesi dell’amore vero, è una donna che non riconosce valore al sentimento, che considera l’amore un mezzo per raggiungere diversi obiettivi.
La famiglia di Alpin è patriarcale, suo padre è un “giusto”, è il timone della famiglia nonostante abbia il desiderio di emancipazione rappresentato dal sogno di comprare casa a Tirana e lasciare il villaggio di N. e incarni a sua volta la dicotomia urbano-rurale anche se alla fine del romanzo la possibilità di “disurbanizzarsi” tornando alle origini è una maniera di salvarsi dai Piccoli bugiardi o così spera Alpin.
Un romanzo scritto con una prosa semplice eppure ha molteplici sfaccettature e può risultare decisamente enigmatico.