Da Migranti di febbraio 2016
La Calabria mons. Luigi Renzo la percorre in lungo e in largo, non solo per quell’abito talare che indossa, ma descrivendola attraverso questa serie di racconti “Piccole storie di periferia”, edito da Rubbettino. Sì è vero sono piccole storie raccontate con purezza di animo, descritte con taglio deciso, senza sfumature, arrivando direttamente al cuore della narrazione. Da attento cronista ha affrontato i tanti aspetti che fanno la storia di questa terra ricordando anche i tanti conterranei che hanno lasciato questa terra in nome del lavoro e storie dedicate a tutta quella gente, i migranti, che hanno trovato in questa ‘periferia’ dell’Europa il luogo dove poter vivere o “sopravvivere”. Un sunto di questo pensiero è dato nel capitolo dedicato a “La festa dei popoli a Ricadi”: “La terra di Calabria può ancora vantare questa pregiata prerogativa: spalancare il cuore a chiunque. (…) è più giusto amarla e rispettarla per la bellezza del paesaggio, per l’arte, per il mare splendido e, soprattutto, per l’intima umanità che alberga nel cuore della sua gente”.
La festa dei popoli che ogni anno si organizza a Ricadi, comune nei pressi di Capo Vaticano, zona turistica, è uno degli esempi più espliciti di fratellanza e amicizia che il popolo calabrese (che da sempre paga con la propria pelle lo status di emigrante) rivolge a tutti quei “fratelli” senza distinzione di razza, cultura e religione che per varie ragioni, ma soprattutto per lavoro, si trovano a vivere da noi. Mons. Renzo, nelle pagine che dedica a questo racconto, sottolinea l’importanza dello stare insieme, della condivisione del cibo e di gioire anche delle piccole cose, ma non si lascia sfuggire la tristezza d’animo che segna il volto di molti partecipanti. È gente di ogni nazionalità che vive lontano da casa e dai propri cari, forse sottopagata e che si sente umiliata, e non possono bastare momenti gioiosi come questo a cancellare i problemi e le tristezze d’animo. È vero la festa dei popoli non risolve i problemi di tanti, ma dalla messa a fuoco dell’autore si evince che è un momento di aggregazione che infonde ai cuori di molti un po’ di calore e dona tanta allegria sicuramente ai bambini che vi prendono parte; ma soprattutto rilancia il tema dell’accoglienza che in questi luoghi non può essere mai messo da parte. Continuando sul tema dell’emigrazione toccante è anche il racconto “I figli di mamma Africa”. Partendo dalla storia di Ismail, un ragazzo del Congo che mons. Renzo incontra una mattina alla stazione di Rosarno mentre aspetta un treno che lo porta a Roma. Ismail è uno di quei ragazzi che aveva preso parte alla rivolta dei lavoratori migranti, scaturita dopo che due di loro erano stati feriti con un arma ad aria compressa e pallini da caccia. L’episodio forse fu solo la scintilla che si accese sul disumano vivere di circa 1500 lavoratori agricoli, sfruttati e alloggiati in situazioni disumane, al limite di ogni forma di civiltà. La stampa accese i riflettori sulla notizia e qualcosa si fece per migliorare l’esistenza di chi come Ismail era partito da molto lontano, aveva lasciato la sua famiglia e anche un lavoro in una cooperativa messa su con altri compagni, sperando in una vita migliore. Invece, racconta con voce commossa, si trova risucchiato in un vortice di moderna schiavitù. Gli occhi tristi si riempiono di luce solo quando parla dell’aiuto che gli viene offerto dalla chiesa locale e da “Mamma Africa”, al secolo la signora Norina Ventre, una insegnante in pensione che dal 1991 ha istituito a Rosarno una mensa per i poveri. Da tutti è conosciuta come “Mamma Africa” perché tutti la sentono come una mamma, una donna straordinaria che ha costruito una rete di aiuti e di solidarietà per far fronte alle tante richieste che giornalmente arrivano alla sua porta.
L’excursus su questo tema non poteva non toccare anche il problema in uscita, parlando dei tanti emigrati calabresi che hanno dato la loro vita per la realizzazione di infrastrutture che hanno modernizzato, dagli anni ’50 del Novecento, paesi come il Belgio, la Svizzera, la Francia e la stessa America. Uno su tutti il ricordo di Marcinelle di quel tragico 8 agosto del 1956: quel giorno un incendio si sviluppò nella miniera di carbon fossile a più di mille metri di profondità, causando la morte di 262 persone, 136 italiane. Molti di questi operai erano calabresi, più di 50 erano solo di San Giovanni in Fiore in provincia di Cosenza. Questa cittadina purtroppo è diventata il luogo-simbolo di emigrati morti a causa di tragedie. Anche nel 1907 nella miniera di Monongah in West Virginia, Stai Uniti, su 500 persone italiane 34 erano di San Giovanni in Fiore. E non è finita, nella tragedia della montagna di Mattmark in Svizzera dei 156 operai morti 56 erano italiani, il lutto aveva colpito un po’ tutte le regioni da Nord a Sud, ma anche questa volta ben 7 erano di San Giovanni in Fiore. Tante storie, diverse per provenienza ma con un unico filo conduttore raccontare la terra di Calabria, cercando negli angoli più reconditi ciò che di vero e umano si nasconde.
di Nicoletta Di Benedetto
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Piccole storie di periferia
di Nicoletta Di Benedetto