Sensuale e disturbante, perfida e maschilista, introspettiva e struggente: Piccole immagini di raso bianco (Rubbettino), il romanzo d’esordio di Manuela Petescia ha una trama che certo non lascia indifferenti. Se si leggesse senza sapere chi è l’autore, si penserebbe ad un uomo, cinico e disilluso. Perché tutto, a partire dalle situazioni descritte, rimanda a un’aggressività di fondo, alla voglia di prevaricare, di umiliare. Il protagonista, un affermato psichiatra e docente universitario, si invaghisce di Dolores, una ragazza che teme di perdere l’affidamento dei suoi due bambini. Lui, sposato e con un bimbo (che non avrebbe dovuto nascere perché, prima di sposarsi, era stato chiaro con Monica: figli non ne voleva), grazie alla sua esperienza riesce a interpretare oltre le apparenze comportamentali delle persone e, nello stesso tempo, è un maestro nel dissimulare, nell’ostentare sicurezza anche quando chi gli sta di fronte prova a scalfirlo.
Dolores, con una fisicità provocante e una psiche fragile, lo ammalia: ha un disperato bisogno di una perizia favorevole affinché il giudice le lasci la custodia dei piccoli. Per averla, però, dovrà sottostare ai desideri perversi del dottore.
Dopo questo incipit che non ammette mezze misure, la storia si dipana tra passato e presente, tra eros e thanatos, e si fa largo tra le fantasie e gli atteggiamenti border line dello psichiatra che, tra le mura domestiche, non fa che rimuginare sul corpo della moglie ormai sfatto, dopo la gravidanza, paragonandolo a quello così erotico di Dolores. Vittima o carnefice, la donna convive con un’infanzia tremenda, con il ricordo di uno zio, morto da tempo, che però torna a inquietarla e, l’unico modo per scacciare quel fantasma, è accendere una serie di candele – con il rischio, ogni volta, di mettere a repentaglio la sua vita e quella dei figli.
Pedofilia, sadomasochismo e parafilie sono una costante di questo romanzo: “Dolores è il mio tormento, ecco cos’è: la fine della mia vita “normale”, il trionfo delle pulsioni di morte”.
Ancora, “(…) Dolores è psicolabile, egoista, opportunista. Dolores è il libro di psichiatria che non riesco a scrivere,la penna d’oro che non riesco
a usare, la collana con i ciondoli che non riesco a regalare. Dolores è un solitario da cento carati che nessuno può possedere. E sta lì, quel diamante, esposto in vetrina. Con le sue mille sfaccettature e l’allarme che suona a ogni alito di vento. E l’uomo che soffre lo contempla, si contorce di desiderio e compra gli arnesi per rubarlo”.
A metà di Piccole immagini di raso bianco, tutte le stranezze e le perversioni diventano più familiari e lo stesso dottore, completamente perso e (forse) soggiogato da Dolores, sembra assumere un aspetto più umano.
Ciascun personaggio si porta dentro ferite, alcune mai cicatrizzate, e ciascuno tenta, come piò di esorcizzare il passato e un dolore sordo e martellante. Le donne hanno la peggio – Monica in particolare: “(…) Lei è tutta un meno rispetto a Dolores, meno bella, meno giovane, meno turgida, meno stimolante, meno provocante, meno seducente… Ma non sembra preoccuparsene” –, destinate a subire impotenti.
Questo della Petescia è un esordio sorprendente, con un’eleganza stilistica fuori dal comune nonostante tematiche che non ammettono pudore. Piccole immagini di raso bianco si legge in apnea, fino allo sconcertante epilogo.
Manuela Petescia, giornalista, dirige una catena di tv e media locali. Ha tenuto, per diversi anni, corsi universitari di Laboratorio televisivo, cinema e fotografia. Ha esordito nella narrativa con la raccolta di racconti Se l’uguaglianza fosse un’emozione (2005).
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