All’arrivo della spedizione dei Mille l’11 maggio 1860, la presenza delle fregate inglesi davanti al porto di Marsala impedì la reazione della squadra borbonica che stava per intercettare e distruggere i due piroscafi garibaldini. Ma quali motivazioni portarono l’Inghilterra a decider di influenzare il processo unitario italiano? La risposta va cercata nei rapporti diplomatici tra Regno Unito e Regno delle Due Sicilie.
Tra il 1799 e il 1815 la gran Bretagna fu un alleato fondamentale per i Borboni. Dopo le due invasioni francesi i regnanti di Napoli fuggirono in Sicilia, protetti dalla flotta della Gran Bretagna, che stabilì un effettivo protettorato sull’isola. Come sottolineò Giovanni Aceto (nel volume del 1827 “De la Sicile et de ses rapports avec l’Angleterre”), “quest’isola non rappresenta per l’Inghilterra soltanto un importante avamposto strategico, da preservare ad ogni costo, da una possibile occupazione della Francia che la minaccia dalle sue coste, ma costituisce anche il centro di tutte le operazioni militari e politiche che il Regno Unito intende intraprendere nell’Italia e nel Mediterraneo”. Gli inglesi svilupparono ottimi rapporti commerciali con l’isola. Una quota rilevante della bilancia commerciale britannica era rappresentata dall’importazione di materie prime provenienti dalla Sicilia e soprattutto dallo zolfo. In Sicilia erano presenti vere e proprie dinastie di mercanti inglesi, le quali avevano ottenuto il monopolio per lo sfruttamento di questa importante risorsa.
La situazione cambiò nel 1830, quando salì al potere Ferdinando II. Egli si pose l’obbiettivo di rendere il Regno delle Due Sicilie una potenza di media grandezza, autonoma da ingerenze esterne all’interno dello scacchiere europeo. Prima occasione di scontro fu la questione dell’isola Fernandea, un lembo di terra di circa quattro chilometri quadrati emerso dal mare tra Sciacca e Pantelleria all’inizio del 1831. A causa della sua posizione strategica, le varie potenze si contesero il dominio dell’isola. Il primo a rivendicarne la sovranità fu il capitano inglese Humphrey Fleming Jenhouse battezzandola ‘Isola Graham’. In seguito si fece avanti anche la Francia, che inoltrò sul luogo una spedizione scientifica, che si concluse con il posizionamento di una nuova bandiera e di un nuovo nome, ‘Iulia’. Poco dopo, Ferdinando II inviò una spedizione che ribattezzò l’isola in Ferdinandea, informando successivamente francesi e inglesi dell’accaduto sottolineando che la nuova isola era emersa in acque siciliane e che, quindi, apparteneva al Regno del sud. Ma prima che si rischiasse di giungere ad un conflitto, l’isola sprofondò nuovamente l’8 dicembre 1831. Un altro motivo di attrito fu la decisione di Ferdinando II di non appoggiare nel 1834 Isabella II nelle guerre carliste per la successione di Ferdinando VII. La regina era appoggiata da Francia e GB, che presero la decisione come un atto di insubordinazione.
Per ristabilire una forte influenza sulla Sicilia, quando nel 1848 da Palermo cominciarono i moti che infiammarono il continente per i due anni successivi, l’Inghilterra sostenne il governo separatista siciliano, allo scopo di farne uno Stato autonomo retto da un principe di Casa Savoia. Ma la sconfitta di Carlo Alberto nella prima guerra d’indipendenza permise a Ferdinando II di intervenire in Sicilia e ristabilire la propria egemonia sull’isola. Il Regno Unito accusò il governo di Napoli di essere causa del malgoverno che scatenò le proteste e in una nota inviata al governo di Napoli minacciò che “qualora Ferdinando II avesse violato i termini della capitolazione e perseverato nella sua politica di oppressione, il Regno Unito non avrebbe assistito passivamente a una nuova crisi tra il governo di Napoli e il popolo siciliano”. A inasprire le relazioni contribuirono le due lettere di Gladstone a lord Aberdeen (premier in carica), pubblicate su tutti i maggiori giornali europei durante il 1851. L’esponente liberale denunciò le dure condizioni delle carceri napoletane, scrivendo che il governo delle Due Sicilie era “la negazione di Dio eretta a sistema di governo”.
I rapporti furono sul punto di rottura definitivo a causa dello scoppio della guerra di Crimea. Ferdinando II decise di non appoggiare Francia e Gran Bretagna durante il conflitto (a differenza del Piemonte) poiché riteneva probabile una vittoria russa. Palmerston, primo ministro inglese, accusò la corona borbonica di essere divenuto vassallo della Russia. Si stava addirittura preparando una dimostrazione navale nel golfo di Napoli allo scopo di favorire un’insurrezione contro la dinastia in carica per sostituirla con una monarchia costituzionale, ma fu annullata per decisone della Regina Vittoria. Un editoriale del “Times” sosteneva che questa iniziativa raccogliesse il favore dell’opinione pubblica e che dovesse avere un effetto simile della spedizione dell’ammiraglio Perry in Giappone che provocò il crollo del dello shogunato Tokugawa.
Con il Regno del Sud isolato diplomaticamente, quando Garibaldi decise di intraprendere l’impresa dei Mille il Regno Unito decise di agevolarne la riuscita. Impedì alla flotta francese di affondare i garibaldini che attraversavano lo stretto per dirigersi in Calabria e favorì l’alleanza tra la malavita napoletana e gli insorti. In questo modo la Gran Bretagna riuscì ad avere una forte influenza sul nuovo Stato unitario. Come scrisse Palmerston in una lettera alla regina Vittoria, “considerando la generale bilancia dei poteri in Europa, uno Stato italiano unito, posto sotto l’influenza della Gran Bretagna ed esposto al ricatto della sua superiorità navale, risultava il miglior adattamento possibile(…)l’Italia non parteggerà mai con la Francia contro di noi, e più forte diventerà questa nazione più sarà in grado di resistere alle imposizioni di qualsiasi Potenza che si dimostrerà ostile al Vostro Regno”.
(nota di redazione: i temi di questo post sono stati ampiamente trattati da Eugenio Di Rienzo nei due saggi “Il regno delle due Sicilie e le potenze europee – 1830-1861”, edito nel 2012 da Rubbettino, e “L’Europa e la questione napoletana – 1861-1870”, D’Amico Editore, 2016). Di Rienzo ha scavato per scrivere queste opere negli archivi italiani, francesi e britannici.
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