da Italia Oggi del 26 Novembre
Domani, mercoledì, è il giorno della verità per il povero Papi. Sarà messo alla porta dalla maggioranza del Senato e accompagnato all’uscita tra gli sberleffi dei grillini: non se la caverà con meno. Ci sono state uscite di scena migliori. Difeso furiosamente dai falchi, assai più tiepidamente dagl’italiani con la testa sul collo, che non si rassegnano a vivere nella repubblica dei magistrati ma che sono stufi marci anche del partito del bunga bunga, il migliore amico di Putin e Dudù lascia Palazzo Madama come c’era entrato, una generazione fa: chiassosamente.
«Quando guardo indietro nel passato, io trovo nazioni, sette, teologi, filosofi che sostennero credenze in scienza, in morale, in politica, in religione che noi decisivamente rigettiamo. Eppure essi accolsero quelle credenze con una fede perfettamente così forte come la nostra: anzi più forte, se la loro intolleranza di dissentire è un criterio. Di quanto poco valore, dunque, sembra questa forza della mia convinzione d’essere nel vero! Un’identica sicurezza hanno provato uomini di tutto il mondo; e in nove casi su dieci si è rivelata una sicurezza illusoria» (Herbert Spencer, “Troppa legislazione”, Rubbettino 2012).
Che cosa farà, una volta decaduto da senatore? Al momento minaccia sfracelli, e così i suoi falchi, falchetti e pitonesse. Ma poi? Gli conviene puntare subito alle elezioni, sempre ammesso (ma decisamente poco concesso) che il Quirinale gliele conceda, smantellando la testa di ponte (Alfano e il suo fan club ministeriale) che ancora conserva, bene o male, nell’esecutivo? O non è meglio aspettare che il lavoro sporco (la fine delle larghe intese, la sconfessione definitiva d’Enrico Letta) lo faccia Matteo Renzi il giorno in cui siederà sul trono dì segretario del partito democratico e dichiarerà guerra a tutti i suoi nemici?
Meglio aspettare, forse. In attesa, come ha dichiarato, che dal fisco americano arrivino «le prove» che lo scagioneranno definitivamente, a dimostrazione che la sua condanna per evasione e frode fiscale è stata in realtà una sanzione politica, il Caimano lascerà che il tempo lavori per lui – come pare sia avvenuto nelle ultime settimane, almeno secondo i sondaggi, che danno il centrodestra in gran rimonta. Occhio, però, perché il tempo è mobile, come la donna, e ci mette poco a ballare il bunga bunga con qualcun altro.
«Due uomini calvi che combattono per un pettine» (Jorge Luis Borges, 1982, a proposito della guerra delle Falklands).
Eliminato Silvio Cesare, o almeno allontanato per un po’ dalla scena, sempre che sia possibile allontanarlo davvero, difficilmente avremo un senato più bello e più morigerato, o un destino migliore. Non ci avviamo, sparito lui, finita l’età del conflitto d’interessi e della patonza, verso un avvenire luminoso, con Beppe Grillo sullo yacht a «mangiare ananas e a masticar fagiani», come i borghesi di Vladimir Vladimirovic Majakovskij, e tutti i suoi elettori intenti a godersi, raggianti e grati, i benefici della «decrescita felice»: una doccia alla settimana, mai uno shampoo, 1000 euro al mese, cibi biologici o niente (con quel che costano, niente). Eliminiamo pure l’ex Cav, anche se i leader democraticamente eletti andrebbero giubilati dagli elettori, non dal voto palese dei parlamentari dei partiti rivali. Ma eliminato lui? Che fare a quel punto? Ci va bene Renzi? A Casaleggio ponti d’oro? Ci teniamo Alfano e Cuperlo? Per farcene che?
«La ricerca per crearsi un seguito di semi-intellettuali è semplice: basta intarsiare qua e là delle frasi incomprensibili con alcune banalità. Il lettore allora constata d’avere già pensato per conto proprio qualcosa del genere, ed è fiero di comprendere un’opera così profonda. L’inquinamento linguistico che ne nasce è perlomeno altrettanto grave quanto quello atmosferico. Esso significa che è ormai impossibile discutere con coloro che hanno subito un tale lavaggio o più esattamente un tale inquinamento del cervello. Esse sono diventate intellettualmente irresponsabili» (Karl Popper, “Tecnologia ed etica”, Rubbettino 2013).
di Diego Gabutti
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di Diego Gabutti