Pepi è la perfetta incarnazione del vinto verghiano.
Nato agli sgoccioli del XIX secolo, è figlio di un amore passionale che si conclude tragicamente, che gli toglie non solo il diritto della patria podestà, ma anche quello di essere amato dalla sua stessa famiglia. Percepito come il più odioso dei fardelli, pur di non crescerlo, la mamma lo abbandona al disinteresse di nonna Mattea e all’affetto sbiadito di nonno Bortolo, cui le cure fanciullesche di zia Francesca non possono in alcun modo sopperire. Proprio per questa ragione, alla prima occasione, Pepi scappa. Si lascia alle spalle quella famiglia astiosa, le mura odiose che gli ricordano solo le percosse ricevute e quella terra di confine che gli ha dato i natali, avventurandosi in un girovagare senza meta che gli fa raggiungere prima i più remoti angoli del Mediterraneo, quindi l’America.
Qui, la storia di Pepi diventa quella dell’americano che dà il titolo al libro di Rossella Scherl, pubblicato da Rubbettino a novembre e solo apparentemente ennesimo resoconto di un’Italia sfortunata, destinata a rifugiarsi nell’emigrazione per poter portare il pane in tavola. Sì, perché se la prima e la seconda parte di Pepi l’americano si presentano come la narrazione in prima persona, intima e commovente, di un uomo che non ha esitato a spaccarsi la schiena pur di dimostrare a sé stesso e agli altri di non essere un predestinato, nella terza l’autrice si avventura coraggiosamente nel rendiconto di una capitolo colpevolmente ignorato della storia recente del nostro Paese, che mette a nudo con cruda efficacia gli orrori e i soprusi che la Seconda Guerra Mondiale ha riservato a una parte della popolazione della nostra Penisola.
Già, perché quello che non abbiamo sottolineato è che l’ennesima sfortuna del Pepi di Rossella Scherl è quella di essere nato in Istria, regione incolpevolmente trovatasi nel mezzo di un tira e molla brutale tra partigiani e nazisti prima, tra italiani e croati poi, di cui hanno dovuto pagare il prezzo coloro che, come Pepi, avevano deciso di riappropriarsi della propria terra dopo aver fatto fortuna fuori dall’Italia.
Troppo giovane per essere “epurato”, troppo anziano per poter imbracciare le armi, Pepi finisce con l’essere uno di quei vinti che si ritengono persino fortunati, carattere che aggiunge una naturale drammaticità a un personaggio che è palesemente plasmato sullo stampo del nonno dell’autrice.
Rossella Scherl non ha bisogno di presentazioni: nativa di Napoli, originaria dell’Istria, roccellese d’adozione, è una delle più generose contribuenti della realtà culturale locridea, cui dà lustro una volta di più attraverso un romanzo che, pur ricalcando un’impostazione divenuta marchio di fabbrica per molti autori meridionali, riesce comunque a trasmetterci qualcosa di più.
Una storia inedita e, apparentemente lontana da noi che, proprio per questo, tuttavia, nutre un senso di empatia che ci fa avvertire questa storia come nostra. In fondo, Calabria e Istria, pur se non accomunate dallo stesso drammatico destino, hanno un passato comune. Sono entrambe terre povere, punteggiate di piccoli paesi in cui l’unica fonte di guadagno e garantita da un sudore che odora di terra e di salsedine, hanno entrambe subito un’emigrazione di massa ed entrambe sono state egualmente messe in secondo piano da uno Stato che i propri interessi aveva deciso di concentrarli altrove.
Elementi tutti chiaramente percepiti nel corso di una lettura agevole eppure densa di eventi e significati, che approda a un finale commovente e sorprendente, in cui diviene nitidamente chiaro che cosa intendesse Tommaso Labate quando, nella sua introduzione al volume, parlava di “sudore della mente”.
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