Da La Gazzetta del Mezzogiorno del 9 maggio
Da tempo Walter Pedullà ha lasciato l’università la Sapienza ma ha preso questa stagione della vita, per sua stessa ammissione, con la frenesia dei diciott’anni. Su e giù per l’Italia come giurato di premi letterari, come conferenziere e presentatore dei suoi libri che si ammonticchiano uno sull’altro con rapidità e frequenza inimmaginabile. Segno che la frequentazione della letteratura fa bene, se è vero che Mario Sansone ebbe la stessa longevità critica. Il suo ultimo libro in ordine di tempo, 600 pagine e passa, è “Il mondo visto da sotto. Narratori meridionali del ‘900”, edito da Rubbettino di Soveria Mannelli. Proprio come consigliava Alberto Savinio: esaminare le cose da sotto, una prospettiva dalla quale si capisce meglio la vita nella sua essenza. Non nasconde Pedullà che siamo di fronte a un montaggio effettuato tra letture, recensioni, saggi realizzati lungo tutta la vita e sfrondati in modo da costituire un libro unitario. Però l’introduzione da sola è un libro a sé, scritto per descrivere oggi il sud nelle sue rivolte degli anni del dopoguerra e nella recessione del 2000, quando si affaccia un altro sud più povero attraverso “una migrazione biblica che fa dell’Europa l’America dei nostri tempi”. Pedullà non ha trattato la saggistica meridionalistica per raccontare il sud, ma ha praticato un meridionalismo come linguaggio letterario. Si scusa per gli assenti, sono tanti, ma è che la letteratura meridionale è cresciuta in modo esponenziale. Dunque “un volume enorme e insieme incompiuto, oltre che lacunoso”, tuttavia un volume che spiega come Pedullà sia “per una narrativa che va avanti a forza di novità di linguaggio e di concetti”. Poi azzarda che in momenti come il nostro, in cui la politica ha perso la strada del rinnovamento e dello sviluppo la letteratura chiede di dire la sua. Ovviamente si tratta di una letteratura più vicina agli anni di maggiore produzione del professore di Siderno, quelli in cui ha lavorato gomito a gomito con Alvaro, Bonaviri, Brancati, Pizzuto, Sciascia, Vittorini e D’Arrigo, uno scrittore quest’ultimo che è sempre stato nelle corde di Pedullà, come lo sono stati Debenedetti da cui ha preso lezioni a Messina e Strati che fu suo compagno di università. Gli unici di cui parla per averli solo letti sono Pirandello e Lampedusa. Sta di fatto che il Sud è la terra più cambiata nel Novecento, tra lavoro,istruzione, e sanità e certamente il campo in cui la letteratura ha lasciato maggiori segnali e presenze. L’ironia è la forza costitutiva di questa scrittura che procede spesso per aforismi e divide la letteratura meridionale in due tre grandi periodi, quelli dell’analisi e della denuncia e poi l’ultima parte del 900 che non ha più di mira i temi del meridionalismo, ma cerca solo la verità. Fino al punto che uomini come Saviano si sono fatti bersaglio dei camorristi raccontando la cronaca o come fanno Lagioia, Lupo, Alaimo, Di Consoli, Di Stefano che denunciano creando storie. “Signore,dacci oggi il nostro noir quotidiano. Prendetelo, consolatevi, divertitevi, ma non illudetevi di acchiappare i veri colpevoli. Lo sa benissimo Camilleri, che arresta almeno un killer alla settimana”.
DOMANDE -Il nord è il luogo dell’avanguardia? Si chiede Pedullà. E il sud è del realismo? E’ complicato dirlo, perché nella letteratura meridionale c’è di tutto, come in quella settentrionale. La verità è che è complicatissimo costruire delle linee di critica letteraria in grado di definire cosa sia e dove vada la letteratura oggi. Per via di un grande rimescolamento delle carte dovuto agli spostamenti degli scrittori, alla televisione, all’ingresso del mondo nella cultura borghese e post industriale, alla vastità dei titoli. Così D’Arrigo è il narratore che fa del dialetto meridionale un vero e proprio corpo linguistico e narrativo, come Gadda l’ha fatto per il centro, ciò che il nord non ha. Il sud in quanto realista è il luogo del corpo e il nord quello dell’anima?
Dopo Verga che segna l’800 meridionale è Pirandello l’autore al quale viene intitolato il ‘900 nel mondo intero. Pedullà chiude questo secolo in cinque nomi, Proust, Joyce, Kafka, Musil e Pirandello, tutti europei, forse è troppo sciovinista ,ma a suo dire lo scrittore siciliano contiene tutto il resto del secolo. Ovviamente dietro le convinzioni di Pedullà ci sono gli studi di Debenedetti. Ma a voler entrare nelle braghe di Pirandello la narrativa restante del sud è l’analisi del mondo contadino che lungo tutto il secolo fugge verso la fabbrica. Ecco da dove nasce il realismo meridionale, al cui fondamento c’è per Pedullà Alvaro di Gente in Aspromonte e dell’Amata alla finestra. Ma come dimenticare Vittorini del Garofano rosso e della Conversazione in Sicilia? A seguire vengono Brancati, La Cava, Pizzuto, Rea, Sciascia, Bonaviri, Strati, Flaiano, Tomasi di Lampedusa e D’Arrigo. Tante facce del ‘900. Un ‘900 che prova a narrare la guerra contadina,la stasi in un mondo che fa fatica a cambiare lungo l’arco di un secolo le avventure di un mondo funestato dalle organizzazioni delinquenziali,dalla disparità sessuale,dalla miseria,dall’assenza di fabbriche,all’emigrazione.
Poi l’ultimo 900. L’ultima parte di questo libro bello e complesso. I narratori hanno cominciato a raccontare la voglia del ritorno. In fondo Matera capitale della cultura per il 2019 non è questo? Ansia di ritorno al passato vestiti del benessere del presente. E analisi di un mondo cambiato che deve fare i conti con la fila interminabile di viaggiatori in arrivo,un racconto nuovo e antico al tempo stesso,un racconto che spiega come la povertà stia altrove e come i narratori siano incerti della posizione di questa parte di mondo, divisa tra ricchezza non del tutto raggiunta e povertà non del tutto sconfitta.
di Raffaele Nigro
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