Per lei, nata a Torino, la Calabria era l’estate, il mare cristallino di Soverato, la chitarra da suonare con gli amici sulla spiaggia e quella libertà che finiva a settembre, non appena si tornava tra le nebbie del Nord. Qui, a Palermiti – paese immerso nel verde sopra il Golfo di Squillace, dal quale il padre Gabriele partì per andare a studiare a Torino – Patrizia Giancotti ha cominciato a costruire la sua avventura umana e professionale straordinariamente singolare. Una antropologa-fotografa divenuta famosa girando il mondo che ha dedicato decine di anni alla ricerca in Brasile – con tanto di onorificenza conferitale dal governo – più di cento reportage pubblicati e oltre cinquanta mostre fotografiche allestite in Italia e all’estero, decine di programmi radiofonici realizzati e numerosi cortometraggi.
Ma poi, la scelta che non ti aspetti: insegnare antropologia all’Accademia di Belle Arti di Reggio e trasferirsi in quel paese tra le montagne affacciate al mare per dedicare il suo lavoro di valorizzazione e divulgazione culturale alla nostra regione. Per coltivare quel “seme” della ricerca e della curiosità che l’ha sempre inseguita, aprendole sfide infinite.
«Ho imparato presto ad amare sapori, suoni, profumi e gesti della mia terra e certo non immaginavo potessero diventare i miei “oggetti di studio” all’interno di una disciplina che ancora non sapevo si chiamasse antropologia. Ma quelle canzoni raccolte dalla bocca della zia Caterina, quel pane impastato dentro la maida da mia cugina Silvana e quei passi di danza incorniciati dalle luminarie della festa – racconta Patrizia – hanno acceso in me un grande amore per la cultura tradizionale, un interesse per il sacro e per il rapporto tra uomo e natura».
L’abbiamo incontrata in occasione del FilmFest di Reggio Calabria dove ha presentato “Un patrimonio sulle spalle” e “Prodigio in slow motion”: due film sui beni immateriali patrimonio Unesco (tra i quali la Varia di Palmi), prodotti dall’Istituto centrale per la Demoetnoantropologia, con il quale collabora. Ha anche partecipato alla presentazione della mostra fotografica “XXV ORA! Immagini contro il femminicidio” promossa dall’associazione culturale Luna Rosa in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera e l’associazione culturale Fabbrica delle Arti, al Museo I Giardini di Pitagora di Crotone.
Cosa l’ha spinta tornare in Calabria?
«Il desiderio di trasformare in quotidianità quell’evento straordinario dell’estate, di sentirmi parte del cambiamento continuo delle stagioni, dedicare il mio lavoro a far conoscere tesori sconosciuti della mia terra e aumentare l’autostima di chi ci abita. Ma, soprattutto l’opportunità dell’insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Reggio, diretta da Daniela Maisano, che lascerà il posto al neo eletto Francesco Scialò: è la prima in ordine di istituzione nella regione che dal 1967 accoglie studenti provenienti da Sicilia e Calabria. È davvero uno stimolante polo d’interesse aperto alla città e vocato all’inserimento degli studenti nel sempre più variegato mondo dell’arte e della cultura creativa».
Come definisce l’esperienza che sta vivendo?
«È bellissimo poter trasferire ai ragazzi, che attraversano lo Stretto per assistere alle mie lezioni come a quelle di tanti altri colleghi di conclamato talento, la consapevolezza del valore culturale del proprio territorio, far conoscere culture lontane e scoprire l’universalità antropologica dei bisogni e dei comportamenti sociali. Farli appassionare e offrire gli strumenti per fare ricerca sul campo e per ricucire il sistema della trasmissione orale del sapere».
In questi due anni in Calabria, Patrizia si è impegnata a dare voce al patrimonio immateriale della regione, ideando e conducendo una dozzina di programmi radiofonici, scrivendo e fotografando per riviste importanti, allestendo mostre fotografiche sulla multiculturalità brasiliana al teatro Cilea ed ancora presentando lo spettacolo sulle Sirene all’Arena dello Stretto nell’ambito di “Reggio chiama Rio”. Significativa la ricerca sul campo realizzata su invito del GAL Area grecanica, sfociata nel libro di racconti fotografici “Filoxenìa – L’accoglienza tra i Greci di Calabria” (Rubbettino) e presentata in diverse manifestazioni nazionali.
Eppure, il suo cammino sembra ancora tutto in fieri. «È vero – ammette Patrizia Giancotti – le idee non finiscono mai. Soprattutto, avverto una necessità: mettere in sicurezza la cultura di trasmissione orale e i beni immateriali della nostra regione minacciati di estinzione, ma ancora vitali. Quando muore un vecchio, è come se si incendiasse una intera biblioteca; all’antropologo il compito di proteggere questi tesori e di catturarli se sono sul punto di scomparsa per dare valore identitario alle nuove generazioni».
Da qui un accorato appello alle istituzioni e alle autorità competenti: «È necessario e urgente effettuare un rilevamento a tappeto di questo patrimonio calabrese, mettendo in campo forze nuove, studenti che abbiano acquisito competenze, offendo opportunità di lavoro e visibilità internazionale alle nostre peculiarità più importanti. E ciò – conclude – anche per spostare finalmente i riflettori da quelle tristemente note».
Altre Rassegne
- Gazzetta del Sud (.it) 2019.04.01
Patrizia Giancotti, l’antropologa che ha scelto di tornare in Calabria
di Cristina Cortese