Così il manager e imprenditore Francesco Delzio, autore di un libro (Rubbettino)
Compartecipazione dei dipendenti agli utili delle imprese, riorganizzazione aziendale, produttività, salario minimo: come cambierà il mondo del lavoro e, soprattutto, come si sta preparando il nostro Paese?
L’abbiamo chiesto a Francesco Delzio manager, imprenditore, scrittore, che con Rubbettino ha pubblicato di recente un libro, intitolato L’era del lavoro libero. www.francescodelzio.it
Francesco, partiamo dall’attualità: nella cosiddetta era del lavoro libero, in cui i luoghi e gli spazi diventano modulari, “agili” – per citare Neil Perkin- c’è la possibilità di rendere sempre più i lavoratori compartecipi degli utili aziendali?
Sicuramente sì. Ed è un’ottima notizia che finalmente, anche in Italia, stia conquistando consensi nella maggioranza di Governo e nel mondo sindacale l’idea di costruire un’economia della Partecipazione dei lavoratori, a partire dal legame tra retribuzioni dei lavoratori e risultati delle #imprese. Oggi è necessario infatti dare una risposta profonda sia alla perdita di potere d’acquisto dei salari, sia al grave disagio dei lavoratori italiani. Che solo per il 5 per cento si dichiara soddisfatto del proprio impiego. È il record negativo a livello internazionale. Attenzione, però.
A cosa?
Riproporre nel nostro Paese sic et simpliciter il modello tedesco non avrebbe senso. Sarebbe soltanto un modo per spaventare molti medi e piccoli imprenditori, agitando il fantasma dell’obbligo di ingresso dei sindacati nei Consigli d’Amministrazione. Da anni sostengo, invece, l’opportunità e l’importanza di costruire una via italiana alla partecipazione. Ne “L’era del Lavoro Libero” propongo soluzioni innovative e concrete per adattare il modello partecipativo alle caratteristiche del sistema imprenditoriale italiano. Restituendo valore al lavoro.
E al dipendente che oggi, a differenza di quanto avveniva nel passato, si dimette più facilmente se si sente frustrato. La compartecipazione può bastare? E come ci stiamo attrezzando?
La rivoluzione del mondo del lavoro è già in corso. È una svolta epocale che parte dal basso, dai bisogni e dalle aspettative dei lavoratori. Nel Libro analizzo, dagli Stati Uniti all’Italia, fenomeni innovativi come la Great Resignation (o Big Quit), il Job Hopping, il Quiet Quitting, la nuova visione del lavoro della Generazione Z e di una parte dei Millennials: sono tutti segnali della formazione di un sistema di valori radicalmente diverso da quello delle generazioni precedenti, in cui il lavoro non è più il sovrano assoluto delle nostre vite. In questa nuova fase storica, “L’era del Lavoro Libero”, il lavoratore è tendenzialmente più libero. E i #talenti hanno sicuramente un maggior potere contrattuale rispetto alle imprese. Oggi al termine delle selezioni di lavoro sono spesso i giovani candidati e non più i selezionatori delle imprese a pronunciare la mitica frase Le farò sapere. D’altra parte, il lavoratore sarà tenuto sempre più a mettere in campo responsabilità, auto-imprenditorialità, attenzione ai risultati.
Come manager e imprenditori devono resettarsi?
Oggi imprenditori e management scontano mediamente, in Italia più che negli altri Paesi avanzati, un notevole ritardo culturale rispetto alle innovazioni organizzative del mondo del lavoro. È quella che ne L’era del Lavoro Libero definisco la paranoia della produttività: l’idea che solo avendo il dipendente fisicamente in ufficio sia possibile farlo lavorare, perché innovazioni tecnologiche e organizzative come Smart working e Home Working sono un ostacolo allo sviluppo della produttività. Peccato che esista ormai un’ampia letteratura internazionale che dimostra esattamente l’opposto.
Certo, anche se forse bisognerebbe fare delle distinzioni . Forse non è applicabile in modo universale
Guardi, la corsa al ritorno in ufficio nelle aziende italiane, cui abbiamo assistito nel corso dell’ultimo anno, nasconde in realtà un profondo deficit di cultura manageriale. E’ questo il vero problema da affrontare oggi.
Smart working: come ti sembra la legislazione italiana?
E’ una legislazione arretrata, che parte ancora dall’idea che si tratti di un fenomeno straordinario. Oggi siamo sostanzialmente tornati alla normativa pre-pandemia. In Europa il modello normativo più interessante è quello vigente in Spagna.
Spesso domanda e offerta di lavoro non si incontrano: di chi è la colpa?
Sul banco degli imputati, rispetto ad una questione così complessa come il mismatch domanda-offerta di lavoro, ci sono molti presunti colpevoli. I principali sono a mio avviso due: l’incapacità della gran parte del sistema formativo professionale e delle Università di abbandonare la turris eburnea del sapere per abbracciare il saper fare e il saper attuare e l’evidente inefficienza che questo Governo ha ereditato dai precedenti del sistema pubblico di accesso al lavoro, a partire dai Centri per l’Impiego.
Cosa fare?
Sarebbero necessari un piano straordinario di contaminazione tra sistema formativo e mondo delle imprese, da realizzare territorio per territorio, e una strategia di coinvolgimento profonda e continua delle Agenzie Private per il Lavoro nel matching domanda- offerta sui profili professionali più modesti, sui NEET e sugli inoccupati.
Produttività: sarà sempre l’obiettivo degli imprenditori. C’è un ma?
Sono convinto che entro i prossimi sette-dieci anni la produttività farà un balzo in avanti, grazie alla diffusione su larga scala delle macchine intelligenti che combinano Robotica e AI. In questo nuovo scenario, cambierà profondamente il set dei lavori manuali e di quelli intellettuali di base disponibili per gli umani e i metodi di controllo, che saranno puntati sulla qualità molto più che sulla quantità, sui risultati molto più che sui comportamenti.
Il Salario minimo è la giusta risposta al lavoro povero?
Ilsalario minimo può essere una risposta utile per un numero ridotto di lavoratori, che il CNEL ha calcolato in 400mila persone al massimo. E peraltro, una sua applicazione poco accorta può generare una gara al ribasso della retribuzione prevista per una serie di contratti. E’ sbagliato quindi considerarlo salvifico e applicarlo a discapito delle parti sociali.