Due libri appassionati, un racconto biografico e un romanzo, due punti di vista sullo stato di salute della parrocchia e di chi la abita, parroco e laici innanzitutto. Giuseppe Curciarello, Enzo Romeo e Gianni Di Santo ci portano in punta di penna al cuore del cammino sinodale della Chiesa italiana, facendo emergere domande che non possono più essere eluse
La Chiesa italiana ha iniziato il suo cammino sinodale, ma quanto effettivamente questo percorso è sentito dalle comunità ecclesiali? La parrocchia è ancora il centro della vita comunitaria oppure un luogo dedito esclusivamente all’utilizzo dei sacramenti e alla celebrazione delle liturgie più importanti? E ancora: i parroci, i sacerdoti responsabili delle comunità ecclesiali, sono davvero partecipi a questo cammino che vedrà, comunque vada, ridisegnare il loro ruolo? E i laici, ce la faranno a invertire la rotta dall’essere semplicemente “operatori pastorali” e diventare, finalmente, costruttori di buona speranza non solo in parrocchia ma anche e soprattutto in politica, nella città che abitano, in famiglia e nel lavoro?
Sono le domande che ogni comunità parrocchiale si fa ogni giorno, alla base del cammino sinodale in corso d’opera. Domande e provocazioni “ecclesiali” che appaiono in due libri recentemente pubblicati e che sono stati presentati in un evento dal titolo “Parrocchia: gioia e dolori”, a cura dell’Azione cattolica di Roma e dell’Editrice Ave: Viva la parrocchia! La sinodalità vissuta dal basso (Ave) di Giuseppe Curciarello ed Enzo Romeo e Finalmente è cambiato il parroco (Rubbettino) di Gianni Di Santo.
Sinodalità senza parrocchia, non datur
Sebbene i due libri abbiano un’impostazione differente – l’uno, Viva la parrocchia!, è un racconto biografico che si pone poi delle domande sul senso del vivere la parrocchia oggi, l’altro, Finalmente è cambiato il parroco, è un romanzo che attraverso i fatti accaduti in una parrocchia di periferia di una grande città racconta il grande desiderio di uscire fuori dalle secche di un clericalismo, sacerdotale e laicale, duro a morire –, le conclusioni sono praticamente identiche. Una parola attraversa le due storie: sinodalità. Sappiamo cosa vuol dire, proviene dal termine greco sinodos: syn, insieme e odòs, cammino. Ma chi l’ha sperimentata davvero? Chi ne ha assaporato il gusto? E dove, soprattutto? Nella parrocchia. Una semplice, piccola parrocchia del sud d’Italia nel primo libro, un lembo estremo di periferia, nel secondo. Quando alcuni preti “di una volta” avevano accettato la sfida del cambiamento a cui chiamava la chiesa Conciliare. Tanto da incidere realmente nelle vite dei parrocchiani. Ma quello che interessa, al di là degli episodi biografici, sono i nodi problematici che pure gli autori non nascondono.
A non funzionare non è la parrocchia, ma l’interpretazione della vita parrocchiale
La pandemia ha acuito la crisi del sacro che già si percepiva anni fa. Le vocazioni sacerdotali in diminuzione sono un problema reale. La sfida, raccontano gli autori dei due libri, è grande. Quanto stiamo facendo, sacerdoti e laici, affinché il cammino sinodale sia veramente un cammino insieme? E quanto ci crediamo realmente?
Si può essere ottimisti? Dipende con quale prospettiva si affronta la questione. I profeti di sventura sono tanti: considerano la parrocchia in crisi irreversibile, la giudicano “vecchia”, incapace di intercettare l’umanità di oggi, lontana dalle sensibilità della società attuale. «Insomma, un malato terminale che quasi non vale più la pena di curare, ma a cui si possono al massino concedere le cure palliative». Ciò che non funziona non è la parrocchia in sé, ma l’interpretazione della vita parrocchiale, ovvero il modo di intendere i rapporti tra persone della stessa comunità, lo spirito col quale si partecipa alle attività comuni, da quelle liturgiche a quelle formative o di carità. Però è difficile migliorare l’interpretazione dei compiti laicali se prima alcune questioni inerenti alla parrocchia non vengono definite giuridicamente, canonicamente.
Una casa da riscoprire e da abitare
La parrocchia, dal greco paroikía, significa comunità di vicini. Persone che vivono nello stesso territorio e che vogliono essere in comunione fra loro. Per questo tutti i battezzati dovrebbero sentire la parrocchia come una seconda casa. Oggi sentiamo la nostra parrocchia come casa? È una casa che attrae, o una casa che ci consola solo, magari perché là fuori, nel mondo reale, qualcuno non ci ha trattato così bene come abbiamo desiderato?
Allo stesso modo, che cosa sarebbe la Chiesa-popolo di Dio senza le sue parrocchie? Nemmeno la Chiesa di papa Francesco – una Chiesa di strada, ospedale da campo – potrebbe sussistere priva di quell’essenziale nucleo comunitario chiamato parrocchia. Grazie alla parrocchia, la Chiesa «vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie». È la parrocchia a calare la Chiesa nella quotidianità e nella concretezza della vita delle persone. Grazie a essa si realizza la raccomandazione del Concilio Vaticano II, di una Chiesa che «cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena» (Gaudium et spes, n. 40).
Ripartire dalla corresponsabilità dei laici
Gli autori, tra ricordi biografici, aneddoti e un racconto dettagliato dei tic e delle abitudini “classiche” di una parrocchia, mettono bene in evidenza i nodi problematici. Alla parrocchia e alle parrocchie vogliono bene, ma una vera riforma dal basso non potrà che iniziare da una vera corresponsabilità dei laici nelle decisioni pastorali di una qualsiasi comunità di periferia, insieme ai parroci, che dovranno almeno perdere il ruolo di accentratori unici del potere.
Su tutti – in questo i due libri hanno un finale già scritto – l’idea che la parrocchia faccia di tutto per essere fuori dalla logica “dell’azienda multiservizi ecclesiali” e ridiventi una guida spirituale per l’intera comunità. La parrocchia luogo di tessitura spirituale, che è casa, tenda, che cresce, forma e accompagna il popolo di Dio a esercitare il suo ruolo di essere lievito nel mondo.