Ora basta con le frottole su Ustica (reggioreport.it)

di Gabriele Paradisi, del 27 Giugno 2021

Leonardo Tricarico, Gregory Alegi

Ustica, un’ingiustizia civile

Perché lo Stato pagherà 300 milioni per una battaglia aerea che non c'è mai stata

Domenica 27 giugno 2021, quarantunesimo anniversario della tragedia di Ustica, il Corriere della Sera ha dedicato un’intera pagina alla strage, pubblicando un articolo di Andrea Purgatori, intitolato “Ustica 41 anni dopo. Ecco quello che sappiamo”, oltre ad una breve intervista di Virginia Piccolillo a Daria Bonfietti, presidente di una delle due Associazioni dei familiari delle vittime.

Purgatori, “mito fondante di tutte le fantasie sulla tragedia di Ustica” – così definito dal generale Leonardo Tricarico nel suo ultimo libro scritto con Gregory Alegi: “Ustica un’ingiustizia civile. Perché lo Stato pagherà 300 milioni per una battaglia aerea che non c’è mai stata” (Rubbettino Editore, 2021) – ha ripetuto come un disco rotto alcuni dei suoi “cavalli di battaglia” che l’hanno reso famoso.

Il problema non è tanto Purgatori, il quale coerentemente reitera sé stesso, quanto il fatto che un quotidiano prestigioso come il Corrierone, ma non è il solo, continui a dare spazio a questo genere di notizie, che se da un lato è facile dimostrarne la falsità, dall’altro continuano ad alimentare nell’ignara opinione pubblica una percezione distorta dei fatti.

Ma vediamo di dare concretezza a quanto stiamo dicendo.

I TRACCIATI RADAR, NALDINI E NUTARELLI

Purgatori afferma:

«I tracciati radar dicono anche molte altre cose. Primo. Che il DC9 e l’intruso/gli intrusi furono incrociati a vista da un F104 biposto pilotato dai capitani istruttori Mario Naldini e Ivo Nutarelli (entrambi morti nel tragico incidente delle Frecce Tricolori a Ramstein in Germania, poco prima di essere interrogati sulla strage di Ustica dal giudice istruttore Rosario Priore).».

Bene. Già qui dobbiamo far notare l’estrema indeterminatezza dei fatti: un intruso o più intrusi? Intesi come aerei militari non meglio identificati che si sarebbero nascosti ai radar nella scia del DC9. Se non c’è certezza sul numero, significa che non ci sono prove inconfutabili a dimostrare ciò che si afferma. Ma proseguiamo.

Quel 27 giugno 1980, l’F104 di Naldini e Nutarelli, stava compiendo un volo di addestramento insieme ad un secondo F104 con a bordo l’allievo Aldo Giannelli. I due aerei militari, decollati alle 19.30 da Grosseto rientrarono alla base tra le 20.35 e le 20.45. Dunque circa un quarto d’ora prima dell’incidente. Secondo i tracciati radar avrebbero “incrociato” il DC9 sui cieli della Toscana, intorno alle ore 20.24. La distanza minima alla quale i due F104 si trovarono dal DC9 è di 18 chilometri, e mentre l’aereo dell’Itavia volava ad una quota di 19.000 piedi, loro si trovavano a 27.000 piedi. Quindi, oggettivamente, non c’è alcuna certezza che i due piloti abbiano realmente visto il DC9. Tantomeno che abbiano notato qualcosa di strano. Così come non notarono fantomatici aerei nascosti in scia all’aereo dell’Itavia, i diversi aerei civili che lo incrociarono quella sera lungo la rotta inversa.

Ma la bugia più grossolana, nonostante venga riproposta da Purgatori in ogni luogo e in ogni dove, è quella che riguarda il presunto interrogatorio a cui dovevano sottoporsi Naldini e Nutarelli di fronte al giudice istruttore Rosario Priore. Peccato che l’incidente di Ramstein, dove i due piloti perirono, sia avvenuto il 28 agosto 1988, mentre Rosario Priore subentrò nell’inchiesta a Vittorio Bucarelli il 27 luglio 1990, cioè quasi due anni dopo (!?).

Com’è possibile che un dato così ovvio, così facilmente riscontrabile, venga bellamente ignorato e ripetuto da Purgatori per iscritto e in programmi televisivi? È solo sciatteria del “giornalista” o dobbiamo scomodare qualche altra “categoria dello spirito”?

Purgatori imperterrito prosegue:

«Lo scenario di una bomba piazzata nella toilette dell’aereo civile, una bomba “salvatutti” che molti ex alti ufficiali dell’Aeronautica cercano improvvidamente di sostenere, è smentito dalle evidenze (l’asse della toilette ed altri reperti della toilette recuperati non mostrano alcuna traccia di esplosivo), dalla sentenza penale della corte che si occupò del reato di depistaggio (non della strage) e dalla logica.

Come avrebbe fatto un terrorista a sapere che l’aereo sarebbe partito con 2 ore di ritardo a causa del maltempo? Come avrebbe potuto salire a bordo del DC9 parcheggiato con l’equipaggio a bordo, sistemare la bomba e poi scendere indisturbato?».

IL RELITTO PARLA, MA NON LO VOGLIAMO SENTIRE

Siamo di fronte ad un vero e proprio ribaltamento della realtà. Nei reperti della toilette recuperati, ci sono evidenze esplicite dell’esplosione a bordo. Purgatori cita la tavoletta del water, ebbene, quella recuperata non era il modello in dotazione all’Itavia, ma non vogliamo qui usare l’argomento che si tratti di “spazzatura del mare”, ovvero che sia appartenuta ad una imbarcazione o altro ancora, ipotizziamo pure che sia quella del DC9, magari frutto di una banale sostituzione in un momento in cui il ricambio originale non era disponibile. I periti, pur nella oggettiva difficoltà di riprodurre esattamente le condizioni originarie, hanno creato un modello della toilette e simulato l’esplosione. In ben due casi su tre la tavoletta è rimasta intatta.

Purgatori però, molto furbescamente, non cita altri due reperti della toilette le cui condizioni sono incompatibili con tutte le altre possibili cause del disastro al di fuori dell’esplosione interna. Sto parlando del lavabo e della tubazione di erogazione del detergente. Le deformazioni di questi oggetti si possono spiegare solo con una esplosione ravvicinata, non certo per via di un missile, di una collisione, tanto meno per via di una “quasi collisione” e nemmeno con l’impatto in mare.

Come interpreta Purgatori le deformazioni di questi oggetti? Pare che per lui semplicemente non esistano. E in effetti a Bologna nel Museo per la Memoria di Ustica, dove è stato riassemblato il relitto del DC9 – sottraendo quel reperto a future possibili indagini? – non vi è traccia alcuna di quegli oggetti “parlanti”. Anche per questo il perito svedese Göran Lilja che ha fatto parte del Collegio Misiti ha scritto:

«Il museo non è una fonte d’informazione, ma di disinformazione […] Più difficile da comprendere è perché nel relitto non sia stato lasciato nulla delle prove evidenti che dimostravano che l’aeroplano fosse caduto a causa di un’esplosione interna. Ci chiediamo dove possa essere andato a finire quel materiale. Che sia ancora in Tribunale? È stato messo da qualche parte nel museo, oppure è stato distrutto? Il relitto è lì. Lo guardiamo. Lui non guarda noi. Non dice nulla: è un testimone taciturno.» (Ustica. Il mistero e la realtà dei fatti. Un perito racconta la propria esperienza, Vicchio, LoGisma editore 2014, 159 pp. [ed. or.: The Real Ustica Mystery. Ustica 1980 My Story, Stoccolma, Instant Book 2013).

In realtà, come fu costretto ad ammettere lo stesso Priore, non è vero che il relitto non parli, semplicemente dice qualcosa che molti non avrebbero voluto sentirsi dire. Infatti non è possibile rilevare su di esso nessuna traccia che dimostri la tesi del missile o la collisione con un altro velivolo. È viceversa visibile solo uno squarcio ed una frammentazione estesa della fusoliera proprio in corrispondenza della toilette.

IL RITARDO DEL DC9

Purgatori prosegue, scomodando la logica alla quale non sempre pare affidarsi, sostenendo che il ritardo di due ore accumulato per il maltempo avrebbe reso impossibile la collocazione della bomba a bordo. Il DC9 Itavia, quando partì per il suo ultimo tragico volo alle 20.08 da Bologna, aveva già compiuto nelle 12 ore precedenti ben altre cinque tratte. Quando giunse a Bologna alle 19.04, aveva già un ritardo di 1 ora e 34 minuti sulla tabella di marcia teorica. Non fu dunque il maltempo su Bologna a causare il ritardo complessivo di 2 ore. L’incidente avvenne esattamente alle 20, 59 minuti e 45 secondi. Praticamente alle ore 21. Anche noi scomodiamo la logica. Un ordigno con un timer puntato su quell’ora precisa – le 21, ovvero quando l’aereo qualora avesse rispettato gli orari ufficiali avrebbe dovuto trovarsi parcheggiato a terra in un hangar e senza passeggeri ed equipaggio a bordo – potrebbe essere stato collocato nella toilette durante tutta la giornata in uno qualunque degli scali toccati quel giorno: Lamezia Terme, Roma, Palermo. Purtroppo nessuno chiese mai le liste dei passeggeri saliti su quell’aereo nelle 5 tratte precedenti l’ultimo volo.

FROTTOLE SUL PERITO FRANK TAYLOR

Purgatori conclude questa sequela di frottole con un ultimo pensiero dedicato ad uno dei massimi esperti al mondo in incidenti aerei:

«Ma soprattutto con quale coraggio il discusso perito britannico Frank Taylor citato dagli ex ufficiali dichiarò ai magistrati italiani che anche se avesse avuto la foto di un missile che colpiva il DC9 avrebbe detto che era stata una bomba?».

Innanzitutto sarebbe interessante sapere da chi è discusso Arnold Francis Taylor, ingegnere aeronautico Direttore del Cranfield Aviation Safety Centre.

Oltre a premettere che Taylor non era un perito della difesa degli ex ufficiali, bensì un membro del Collegio peritale Misiti voluto da Bucarelli e confermato da Priore, è fondamentale ricordare che Taylor è stato il perito che si occupò in prima persona dell’incidente di Lockerbie.

Il 21 dicembre 1988, un Boeing 747 della Pan American, partito da Francoforte e diretto a New York, precipitò sulla cittadina scozzese provocando la morte,oltre ai 243 passeggeri e ai 16 membri dell’equipaggio, anche di altre 11 persone a terra colpite dai rottami dell’aereo. Taylor, avendo maturato una conoscenza diretta e dettagliata sugli effetti dell’esplosione in volo di un aereo provocata da una bomba a bordo, mise a punto un modello matematico per calcolare le traiettorie che i frammenti di un velivolo seguono durante la caduta in aria dopo essersi separati dalla struttura principale. Metodo che trovò proprio la sua prima applicazione pratica e dimostrò la sua validità nell’ambito dell’inchiesta condotta a Lockerbie dall’AAIB (Air Accident Investigation Branch). Quello stesso “metodo Taylor”, applicato all’incidente di Ustica, ha consentito l’individuazione esatta delle aree del Tirreno meridionale nelle quali poi sono stati recuperati sul fondale, a oltre 3000 metri di profondità, i resti del DC9; aree che, per come sono dislocate, hanno permesso di ricostruire l’esatta sequenza temporale con cui l’aereo si è destrutturato in volo.

Quindi Taylor è tutt’altro che uno sprovveduto e discusso personaggio. Detto ciò, nel gennaio 2021, da noi interpellato direttamente per avere un commento sulla frase a lui attribuita da Purgatori (come abbiamo detto oramai il giornalista romano ripete sempre le stesse cose solo in luoghi e tempi diversi), il perito britannico smentì nettamente l’insinuazione e ci disse che al massimo si sentiva di sostenere che «se ci fossero stati altri aerei intorno al DC9, l’incidente sarebbe stato comunque dovuto a un’esplosione interna». In altre parole un perito serio e preparato parla sempre in base alle evidenze tecnico scientifiche che rileva e non si fa certo influenzare da suggestioni ideologiche.

IL GENERALE TRICARICO: PURGATORI IN UN UNIVERSO PARALLELO

Torneremo su queste pagine a parlare di Andrea Purgatori tra non molto, per evidenziare e sottolineare un metodo di lavoro “giornalistico”, il suo, che non condividiamo. Per ora facciamo nostre le parole del generale Tricarico che lo riguardano, riportate nel già citato libro appena pubblicato:

«È sconcertante assistere all’imperturbabilità con cui Purgatori continua da decenni, imperterrito, a presentare falsi clamorosi come verità conclamate. Perché al principio poteva essere, la sua, una fede cieca e assoluta nelle ipotesi d’indagine del giudice Priore: un comportamento distante anni luce dalle più elementari regole deontologiche del buon giornalista, certo, ma capita che la professione venga annebbiata dalla passione militante. Non dovrebbe succedere ma succede. Ma dopo la sentenza penale definitiva che ridicolizzava la ricostruzione fantasiosa dell’accusa, continuare a spacciare per Vangelo ciò che prima i periti poi la Corte hanno smentito con chiarezza inequivocabile significa che, per così dire, anche la passione militante si è smarrita nella vocazione alla crociata. E l’ordinanza-sentenza di Priore è così diventata una sorta di Universo Parallelo nel quale quelle fantasie sono diventate verità assolute. Ecco, Purgatori è come Dorothy, che dal Kansas viene portata da un tornado nel Meraviglioso Mondo di Oz: solo che la ragazzina inventata da L. Frank Baum è felice di tornare infine sulla Terra, mentre Purgatori continua a vivere nel suo universo parallelo e – quel che è più grave – pretende di spiegarci che quello è il mondo vero».

DARIA BONFIETTI E LO SPACCIO DELL’ORDINANZA TRIONFANTE

Veniamo ora a Daria Bonfietti e alle sue dichiarazioni sul Corriere.

«Chi ha pagato?» chiede la giornalista.

«Per la strage nessuno. Per i depistaggi, gli unici condannati per alto tradimento furono l’ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Bartolucci e il suo vice Ferri, ma in Appello l’accusa cambiò in ostacolo alla giustizia (ormai prescritta): con una lettera si chiese all’Arma di attenersi alla versione del cedimento strutturale. Poi ci furono le nostre battaglie. Si recuperò il relitto. Vennero ascoltati i controllori di volo. La Nato ci decrittò i tabulati e Priore spiegò quello scenario di guerra non dichiarata».

Vediamo di dire, almeno noi, le cose come stanno. Innanzitutto perché nessuno ha pagato per la strage? Semplicemente perché al giudice istruttore restarono ignoti gli autori, dunque non si poteva procedere contro qualcuno non identificato. È vero che l’ordinanza-sentenza di Priore (datata 31 agosto 1999, atti depositati il 16 settembre 1999), delinea uno scenario di guerra nei cieli di Ustica – ritenuto poi in dibattimento e nelle sentenze penali definitive “fantapolitica o romanzo […] frutto della stampa che si è sbizzarrita a trovare scenari di guerra, calda o fredda” – ma in ultima analisi essa si limita a denunciare una presunta strategia di depistaggio, operata da vertici dell’Aeronautica militare attraverso omissioni e manipolazioni.

In definitiva la tanto declamata ordinanza-sentenza di Priore che viene erroneamente spacciata per “sentenza” («Dopo la sentenza ordinanza del dottor Priore non ci sono più verità da cercare: la verità è lì, in quelle carte», Daria Bonfietti), altro non è che una “ordinanza” di rinvio a giudizio (dunque non una dichiarazione di colpevolezza) contro alcuni ufficiali dell’Aeronautica militare e una “sentenza” istruttoria di proscioglimento per altri (34 imputati, compresi due deceduti, “per non aver commesso il fatto”, 16 imputati “per non doversi promuovere l’azione penale”).

Quattro gli imputati principali nel processo che seguì: i generali Zeno Tascio, Corrado Melillo, Lamberto Bartolucci e Franco Ferri. Dal 2001 numerose sentenze penali di diverso ordine e grado hanno assolto, dichiarato prescritte o archiviato le posizioni di tutti gli accusati. Bartolucci e Ferri non si accontentarono di un proscioglimento per prescrizione e chiesero ed ottennero di essere processati in appello. Anch’essi vennero infine assolti con sentenza definitiva “perché il fatto non sussiste”.

Perché allora la Bonfietti ignora queste conclusioni e continua a parlare di fantomatiche condanne per alto tradimento comminate a ufficiali viceversa completamente scagionati? La Bonfietti, contrariamente a quanto fa per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, forse non rispetta le sentenze passate in giudicato?

I PLOT DEL VECCHIO RADAR MARCONI

Ma proseguiamo.

«E chi c’era nei cieli?» chiede ancora la Piccolillo

«Aerei Usa, francesi e inglesi, belgi e alcuni a trasponder spenti, probabilmente libici. Due si nascondevano sotto il Dc9 già dalle nostre montagne

Insomma secondo la Bonfietti – ma non per i giudici che in dibattimento, nel corso di 272 udienze, hanno valutato oltre cento tra perizie, relazioni e consulenze e hanno ascoltato circa 4000 testimoni – quella sera intorno al DC9 vi era un traffico incredibile di aerei militari. Un affollamento di cui non v’è traccia alcuna nelle tranquille conversazioni tra i piloti del DC9, conservate nel Cockpit Voice Recorder e non v’è nemmeno menzione alcuna nelle testimonianze dei piloti di altri aerei civili che attraversarono quel tratto di cielo in quegli stessi minuti, poco prima e poco dopo.

Da dove trae allora la Bonfietti questa convinzione? Dai tracciati radar forse?

Nemmeno da questi potrebbe farlo. Nel tracciato principale, quello rilevato dal radar Marconi di Ciampino – ma non dal più moderno radar Selenia – vi sono solo due plot (il -17 e il -12, ovvero a diciassette e dodici giri d’antenna prima della perdita di contatto con il DC9) che potrebbero essere attribuibili a due aerei distanti una trentina di chilometri dal punto dell’incidente. Peccato che poi non vi siano altre tracce successive che ne definiscano il percorso verso il DC9, tantomeno che ne dimostrino il disimpegno dal punto del presunto attacco. Non è escluso che quei due plot siano semplici disturbi elettromagnetici attribuibili al vecchio radar Marconi. Dove sarebbero quindi gli aerei Usa, francesi e inglesi, belgi e libici – dunque almeno cinque – se nei tracciati radar non v’è alcun riscontro? Mistero.

PERCHE’ BONFIETTI E IL PD SI OPPONGONO A DESECRETARE LE CARTE DEL COLONNELLO GIOVANNONE ?

Come “misteriosa” resta la motivazione per cui la Bonfietti e la forza politica a cui appartiene si oppongono strenuamente alla desecretazione delle carte del capocentro del Sismi a Beirut colonnello Stefano Giovannone. Documenti che potrebbero far luce sulla crisi in atto in quel 1980 tra il nostro Paese e le organizzazioni terroristiche palestinesi. Le poche informative emerse parlano di ultimatum e di esplicite minacce. In particolare in un documento datato 12 maggio 1980 si legge: «In caso di risposta negativa [delle autorità italiane alle richieste palestinesi], la maggioranza della dirigenza e della base del F.P.L.P. intende riprendere – dopo sette anni – la propria libertà d’azione nei confronti dell’Italia, dei suoi cittadini e dei suoi interessi con operazioni che potrebbero coinvolgere anche innocenti». È certo che a bordo del DC9 Itavia c’erano 81 innocenti.

Altro atteggiamento è quello dell’Associazione Verità su Ustica e della sua presidente, Giuliana Cavazza De Favero, figlia di una vittima. La risposta alla lettera da lei inviata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 7 agosto 2020 con la richiesta di rendere accessibili quei documenti, è stata tranciante: la richiesta non può essere accolta “perdurando l’idoneità ad arrecare in caso di divulgazione un grave pregiudizio agli interessi essenziali della Repubblica”.

Ma cosa c’è di tanto delicato in quelle vecchie carte se dopo oltre quarant’anni si nega perentoriamente la loro divulgazione?

Forse c’è qualcosa che potrebbe fermare una volta per tutte il disco rotto di Purgatori?