Da Il Mattino dell’8 novembre
Una volta l’ostacolo era la «cultura del no», l’opposizione preconcetta e spesso priva di alcun fondamento a qualsiasi decisione venisse presa da una maggioranza, politica o istituzionale. Che fosse giusta o semplicemente di buon senso, la sua sorte era segnata: non sarebbe passata, complici ricorsi e sotterfugi politico-amministrativi. Oggi quella tendenza tipicamente gattopardesca per cui alla fine nulla deve cambiare, ha un’etichetta più aggiornata e credibile: si chiama Opzione zero e nell’intelligente pamphlet firmato da Francesco Delzìo per i tipi di Rubbettino è diventata «il virus che tiene in ostaggio l’Italia».
La tesi è così ben dimostrata che è difficile non condividerla. Il declino del Paese è la diretta conseguenza, spiega l’autore, di quella mancanza di decisioni che ha paralizzato tutti coloro che, al contrario, dovevano decidere assumendosi la responsabilità e, in molti casi, i rischi di una scelta. Ministri, sindaci, rettori di università: l’opzione zero li contagia da almeno 20 anni. Meglio «vivere tranquilli, facendo finta che non ci sarà mai un domani». Da cosa è nata questa deriva? Delzìo, che ha la stessa età del premiér Renzi e che qualche anno fa col pamphlet Generazione Tuareg stigmatizzò il «deserto» di opportunità e valori in cui sono stati esiliati i giovani italiani, non è tenero nella risposta.
C’entra «il cannibalismo» di alcune procure che secondo l’autore divora «sia gli altri poteri dello Stato che le loro stesse sorelle»: con la conseguenza «devastante» che «ogni volta che sussiste la minima incertezza interpretativa della norma, del regolamento o della direttiva, ogni volta che ci siano potenzialmente interessi pubblici in conflitto tra di loro qualsiasi decisione pubblica si blocca». Ma c’entrano anche l’«irresponsabilità della politica» e dei partiti in primis nei confronti degli elettori (vedi alla voce programmi elettorali, puntualmente vaghi), al punto che la formazione dell’opinione pubblica è sempre più «demandata» ai bollettini di Bankitalia o alle analisi della Cgia di Mestre. E ancora, il fallimento dei nuovi approcci alla questione lavoro, come il flop della «Garanzia giovani» sta ampiamente dimostrando. E c’entra anche una visione del Sud che sposa in pieno la tesi di questo giornale a proposito delle origini e delle prospettive dell’evidente divario con il Nord: e cioè che «le élite politiche ed economiche del Paese non sembrano più occuparsi del Mezzogiorno semplicemente perché non sanno assolutamente cosa fare. E perché ormai il Sud non fa più notizia».
Delzìo sottolinea, al contrario, che occorrerebbe sempre e subito una terapia choc per rilanciare questa parte del Paese, a cominciare dall’istituzione di una no tax area per tutte le regioni meridionali, in grado di attrarre capitali e nuova occupazione. E per essere più realista che mai sull’attuale condizione dei giovani del Mezzogiorno parla dei bar e della loro mutata «funzione». Già, perché mentre al Nord solitamente si popolano ancora dopo le 19, quando lo svago e il relax subentrano alla fatica e allo stress del lavoro, al Sud sono quasi sempre affollati per l’intera giornata. Nelle città meridionali sono «diventati il nuovo parcheggio della generazione out». Dei ragazzi fuori, esclusi, rassegnati. Dei figli di un’Italia che non cresce più.
di Nando Santonastaso
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