Da Panorama del 5 marzo
A un giornalista italiano che gli chiedeva lumi sulla nostra crisi economica, il celebre economista liberal John Kenneth Galbraith rispose qualche anno fa: «Io penso alla sua Patria e vedo: la bellezza, la cultura, le vestigia antiche come in nessun altro luogo del mondo. Se siete in crisi, siete colpevoli… perché molto più del Pil, nel futuro il livello estetico diventerà decisivo per indicare il progresso della società».
È proprio così. Perché la bellezza è già nelle società avanzate (e sarà sempre più nei prossimi anni) motore potente di sviluppo e competitività. Ma come siamo abituati noi italiani ad interpretare la «nostra» bellezza? Per chiarirci le idee, basta un dato: il sito di Pompei (che tutto il mondo ci invidia) incassa solo 20 milioni di euro in un intero anno di attività, contro i 23 milioni di euro in una settimana degli Internazionali di tennis di Roma.
Se l’Italia e gli italiani sono affetti dal virus dell’Opzione zero (dall’incapacità di decidere e di assumersi responsabilità), la gestione del nostro patrimonio culturale è sicuramente uno dei terreni in cui il virus si è manifestato negli ultimi decenni in modo più violento e nefasto. E non solo per (ir)responsabilità della politica. Ci siamo indignati tutti, giustamente, per lo scempio di Piazza di Spagna provocato dai «nuovi barbari» al seguito del Feyenoord. Ma come trattiamo, noi italiani, nella quotidianità, questo straordinario museo a cielo aperto di nome Italia? Alla fine potremmo scoprire di avere il nemico in casa, di essere un po’ «barbari» anche noi. Meno rumorosi e meno violenti degli stranieri invasori, ma ancora più indifferenti alla bellezza. Il livello medio di pulizia, di cura e più in generale di «controllo sociale» sui nostri monumenti, a prescindere dal loro pregio, è oggettivamente molto basso. Perché li diamo per scontati e ne ignoriamo il valore culturale, sociale e perfino economico. O peggio, li consideriamo solo un ostacolo al parcheggio più comodo dell’automobile.
L’Opzione zero della cultura in Italia, dunque, è ben radicata nelle nostre teste. E allora sarebbe bello e utile trasformare l’indignazione contro i barbari invasori in un moto d’orgoglio nostrano. Come italiani dobbiamo iniziare a riappropriarci del nostro tesoro per costruire un nuovo «umanesimo italiano», per riscoprire la forza della nostra identità culturale.
Perché non lanciare una grande campagna di adozione di massa dei nostri beni culturali? Immagino già il claim: «Adotta il tuo monumento. E sarai felice». Sarebbe un’adozione gratuita: non servono soldi ma consapevolezza, orgoglio e voglia di occuparsene. Funzionerebbe così: ogni italiano sceglie un monumento da adottare e mette a disposizione parte del suo tempo per prendersene cura. Raccoglieresti la sfida, caro lettore? Io credo proprio di sì.
di Francesco Delzìo
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