Da ioacquaesapone.it
“Sono madri, sorelle, figlie, amanti, spose. Sono come maschere di una commedia. Sono un ruolo. Un ruolo nella società. E il loro ruolo è tacere, non intervenire, vivere nell’ombra, stare dietro le quinte, parlare se interrogate, agire se coinvolte, stare immobili se è questo che viene loro richiesto. Sono le donne di ‘ndrangheta. Che ogni giorno si svegliano, accudiscono la casa, preparano da mangiare, allevano i figli, li educano secondo i principi cardine della Onorata”.
Comincia così il primo libro della giornalista Angela Iantosca “Onora la madre – storie di ‘ndrangheta al femminile” (edito da Rubbettino), con il quale si compie un viaggio in quella Calabria che si declina al femminile, in quella terra fatta di contrasti e contraddizioni, di leggi scritte e non scritte, di omertà, di maschilismo e matriarcato, di donne che incitano gli uomini a vendicare l’onore offeso, di figli disposti anche ad uccidere le loro madri se hanno violato le regole.
«Ho deciso di concentrarmi sul ruolo della donna nella ‘ndrangheta – spiega l’autrice – dopo aver notato come stesse diventando sempre più evidente l’importanza della collaborazione femminile. Proprio leggendo le dichiarazioni di queste donne che hanno deciso di squarciare il velo del silenzio, facendo condannare genitori, zii, fratelli, sorelle, ho cominciato ad interrogarmi sul rapporto tra la donna e l’Onorata. Ho incontrato molti pm, letto gli atti dei processi e i libri degli storici, ho parlato con i giornalisti e, soprattutto, ho conosciuto chi vive ogni giorno la realtà calabrese, chi ha perduto familiari innocenti, chi è legato alle tradizioni, alle feste, ai Santuari. Ciò che emerge è che le donne, da sempre, anche senza un riconoscimento formale, sono parte attiva della ‘ndrangheta, sono motore e anima di una delle organizzazioni criminali più potenti al mondo. Sono postine, usuraie, intestatarie fittizie, cassiere. Ma, prima di tutto, sono madri». Protette e tenute lontano dalle luci della ribalta fino a qualche anno fa, oggi, a causa dei molti arresti degli uomini, sono costrette a venire allo scoperto per portare avanti gli interessi delle loro famiglie.
«Sono scaltre, intelligenti e sono anche più capaci e spietate degli uomini quando si parla di affari. Sono donne alla moda, amano il potere e sono le prime ad incitare alla vendetta, costringendo spesso gli uomini che vorrebbero “pentirsi” a fare marcia indietro. Non solo: sono anche donne che fanno addormentare i loro figli appena nati con litanie che incitano a vendicare l’onore offeso».
Sono madri, portatrici di vita, ma, in realtà, producono morte. Come immaginare che tutto possa finire, se mettono al mondo figli che si preoccuperanno di far entrare in quell’esercito?
«Solo se le donne trovano il coraggio di parlare, di ribellarsi, di dire basta, la ‘ndrangheta può cominciare a vacillare. Perché le donne sanno. Hanno sempre saputo. La speranza è che quelle donne che hanno cominciato a parlare, a fare i nomi e a smantellare intere famiglie inneschino un effetto domino e riescano a convincere le altre che qualcosa può cambiare, perché dipende solo da loro. C’è un’arma in tutto questo che può contribuire ad accelerare il percorso: l’arma della cultura. È necessario andare nelle scuole, parlare, innestare il dubbio. Far capire che c’è un mondo altro rispetto a quello nel quale troppi giovani vivono. E non è un problema solo calabrese e non è solo una questione che riguarda certe famiglie. È un problema culturale che supera quei confini, ma che lì si percepisce in maniera più forte e violenta. L’idea di sottrarre i figli alle famiglie, che qualcuno sta portando avanti, non è un’idea sbagliata. Certo, bisognerebbe capire dove trasferire quelle migliaia di ragazzi, ma il concetto dello “sradicare” è giusto. Perché chi uccide, produce morte, spaccia, incita alla vendetta, inquina pensate che sia degno di essere chiamato padre o madre?».
Probabilmente no. Ma non è semplice uscire dalla famiglia, rinnegare le proprie radici, se questo può anche comportare la morte dei propri figli. «I figli sono il motivo per il quale spesso le donne trovano la forza di dire basta. Ma sono anche il loro punto debole, perché possono diventare uno strumento di ricatto che le potrebbe far tornare sui propri passi. Molte scelgono di rimanere nel sistema. Ma molte non hanno scelta, perché non hanno fiducia nello Stato, perché sarebbero condannate a fuggire o a morte certa. La ‘ndrangheta non dimentica e anche dopo 20 anni viene a riscuotere ciò che le è dovuto: solo il sangue può lavare l’offesa, il tradimento, l’onta».
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