Da Origami (La Stampa) del 6 aprile
Rimpiangiamo sempre il tempo in cui la politica era solidale e condivideva davvero i valori, al di là della propaganda, ma quando andiamo a cercare questa effimera era nel passato restiamo delusi. Grandi ed amati presidenti americani, Lincoln e Kennedy, sono stati uccisi per odio, Reagan scampato d’un soffio. Editorialisti sussiegosi citano i leader di ieri, paragonandoli in positivo al presente, dimentichi che Lady Thatcher era raffigurata in pose oscene da studenti e sindacalisti, De Gaulle e Churchill si deprecavano a vicenda, Moro veniva ritratto nelle vignette con la fiamma neofascista del Msi al posto della frezza bianca tra i capelli, Craxi tempestato di monetine, Berlinguer considerato un venduto. Montanelli finì tra gli applausi di chi lo odiava, ed era già stato ferito dalle Br, Enzo Biagi, Sergio Zavoli, Andrea Barbato, campioni di equilibrio, vennero aggrediti come faziosi.
Scrittori oggi classici, Sartre, Brecht, Pound, Malaparte, Malraux, Eluard, Pavese, Calvino, si sono lasciati dietro – trascinati dalla foga – righe che non fanno onore alla loro fama letteraria. Qualcuno, come Calvino, ha fatto in tempo a rammaricarsene, altri, Brecht e Pound, no. L’odio stravolge, riconosce in una sua ballata, A coloro che verranno, Brecht, ma il tempo edulcora. Gli ex terroristi italiani hanno occupato scranni in politica, in parlamento, nelle università e ai premi letterari, sentenziando in prima pagina, in prime time, ex cathedra, alle feste, al tennis, ovunque. Pagine di solidarietà li han trasformati in nobili Robin Hood, romantici paladini che combattevano, magari con metodi sbagliati, per ideali limpidi. Nel suo saggio Anatomia delle Brigate Rosse, (Rubbettino), il professor Alessandro Orsini ripercorre invece, con scrupolo filologico, la stagione dell’odio, senza la quale non si capiscono venti anni di sangue in Italia. «Spaventa – scrive Orsini con parole utili, dopo le stragi di Parigi, San Bernardino e Bruxelles, per capire Isis – l’idea che l’invidia, il risentimento, l’odio possano condizionare… il corso della Storia. È molto più rassicurante una visione razionale della politica, secondo cui le scelte degli attori in gioco sarebbero sempre riconducibili a un calcolo tra costi e benefici». La brigatista Faranda ricorda che «l’odio» verso il nemico era la molla della sua scelta e il suo compagno di allora, e complice nel rapimento e assassinio del presidente Moro, aggiunge «Odiavamo con tutti noi stessi… Avevo appreso che non si poteva essere comunisti senza odiare, che chi capisce odia e chi non odia non capisce…». Togliatti sa bene che De Gasperi non è fascista, l’Unità del 1972 sa bene che il suo ex condirettore Pintor non è «un anticomunista… pagato dagli agrari», ma, come nota Orsini, invidia, risentimento e odio prevalgono.
La tragedia è che le gocce d’odio, una dopo l’altra, scavano la pietra della ragione. Bush padre che calunnia lo sfidante democratico Dukakis come liberatore di stupratori dalle galere, innesca una violenza retorica che, in una generazione, produrrà Donald Trump. Per venti anni sinistra anti Berlusconi e destra di Berlusconi corrompono il dibattito politico in invettive reciproche, irridendo chi si sforzava di ragionare senza odiare. Il risultato è l’odio diffuso per la politica dei moderati e il movimento Cinque Stelle che fa del no a ogni negoziato e compromesso la sua bandiera. Quando gli comunicarono della resa senza condizioni ad Appomatox dal generale confederato Lee, con la vittoria del Nord nella guerra civile americana, il presidente Lincoln chiese alla banda della Casa Bianca di suonare Dixieland. «Presidente – obiettò uno zelante funzionario – ma è la canzone del Sud!». «Appunto – replicò serafico Lincoln – dopo anni possiamo finalmente tornare a godercela in pace». Pochi giorni dopo l’odio di un sicario sudista l’uccise, lasciando un secolo di rancore tra Nord e Sud, vivo ancora nella corsa presidenziale 2016.
di Gianni Riotta
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