Da “Domenica” del Sole 24 Ore del 29 dicembre
Niente trivialità, i film di quest’anno sono educati e sciapi. Tra un Pieraccioni renziano e scontato e un Brizzi buonista
La critica e la teoria, direbbero i filosofi, si alzano in volo sul far della sera, come la nottola di Minerva. Ora che il cinepanettone è morto da qualche anno, è partita la sua riscoperta critica. All’apparire di un libro come Fenomenologia del cinepanettone del professore inglese Alan O’Leary (Rubbettino editore), è chiaro che ormai si parla di qualcosa al passato. Qualche tempo fa, al cospetto di uno sbigottito Neri Parenti, chi scrive partecipò alla presentazione del libro in questione. Si recuperava il genere in termini di gender theory e di cutural studies; ma alla stessa ora era in corso una partita dell’Italia, e col regista si immaginarono gli spettatori muniti fantozzianamente di radioline nascoste, e che qualcuno si alzasse in piedi e gridasse: “Natale in India è una cagata pazzesca!”
Il cinepanettone è morto, viva il cinepanettone! Fine di un genere simbolo dell’ “Italia berlusconiana”, come dicevano in molti un po’ meccanicamente? Se è così, allora il cinepanettone 2013, sottotono, buonista e un po’ sciapo, sta ai vecchi esemplari come Alfano sta a Berlusconi. Il che, da un punto di vista strettamente comico, non è necessariamente un vantaggio, anche perché il il regista Neri Parenti (autore anche di film molto divertenti come Fracchia la belva umana) è un regista slapstick più che da commedie, e l’assenza di Boldi elimina quel lato cartoonesco e grottesco, corporeo, che spingeva l’attore a farsi marchiare a fuoco dagli ultrà (Fratelli d’Italia) o ad attraversare un intero film Merry Christmas con una portiera d’auto attaccata al glande tramite un piercing (roba che nemmeno Crash di Cronenberg). Da qualche anno, per la verità, Parenti cercava di torcere il genere verso la pochade d’altri tempi Christmas in Love, e il suo ultimo Colpi di fortuna abbandona la formula delle storie incrociate e della trasferta in luoghi esotici: commedia a episodi, invece, ambientazione nostrana con coloritura napoletana – con un occhio alla squadra di cui è presidente il produttore Aurelio De Laurentiis. Ritornano, ma poco e stancamente, luoghi tipici del cinepanettone, il sesso (alluso), la cacca (meno) e la morte (molte gag di questi film hanno a che fare con funerali e cadaveri: e qui si cita il classico Entr’acte di René Clair). Solo De Sica e Mandelli tengono un po’ botta su uno spunto da poco (un superstizioso deve incontrarsi con uno iettatore), anche perché la trovata del menagramo permette al regista di esibirsi nel repertorio che gli è più congeniale, con macchine da caffè o cessi che esplodono, ruzzoloni e macchine fracassate.
Indovina chi viene a Natale di Fausto Brizzi (autore di Notte prima degli esami, ma cresciuto anche lui alla scuola di Parenti) è il più fiacco di tutti, con un’aria da prodotto televisivo passato per caso al cinema. Attori sprecati, un buonismo particolarmente stucchevole (Abatantuono industriale di panettoni progressista deve fare i conti con Raoul Bova fidanzato della figlia, diverso perché… privo della braccia) e un’atmosfera natalizia improbabile: neve che sembra ricotta, i personaggi che vanno in giro di notte senza che dalla bocca esca un’ombra di fiato.
Altrettanto melenso, e pochissimo divertente (ma con attori molto peggiori, a parte un Ceccherini dal volto scavato) anche l’ultimo Pieraccioni, Un fantastico via vai, che mette la figura dell’eterno bambino a confronto con la crisi coniugale e le giovani generazioni: cacciato di casa, il protagonista si trova in una casa di studenti, e si improvvisa fratello maggiore. Un cinepanettone renziano? L’esibita toscanità da oste truffaldino di Pieraccioni rende perfino troppo facile l’ipotesi. Il fratellonismo, variante perversa del paternalismo, trionfa a confronto con situazioni che sarebbero sembrate arretrate sessant’anni fa, come la famiglia di siciliani che deve accettare la figlia ragazza madre. Mai una cattiveria, mai uno sgarbo, nell’eterna provincia sognante del film.
Stupisce, in queste commedie, la totale rimozione di ogni accenno alla crisi e all’incertezza, specie delle giovani generazioni. Se la commedia spesso funziona come amplificazione paradossale della crisi, se Checco Zalone ha vinto la sua scommessa prendendo di petto astutamente l’attualità, nei film natalizi invece nessuna eco del mondo esterno. Piuttosto che esorcizzare una realtà che fa paura, è come se la nostra commedia avesse deciso semplicemente di cancellarla, in un mondo parallelo da telefonini bianchi. Dove su tutto trionfa l’unica certezza italiana, la Famiglia, disposta ad accogliere tronchi umani, finocchi, comunisti, negri e figli bastardi. Da notare infine un uso quasi auto-parodistico del product placement, che a volte è la cosa più divertente dei film. Ragazzi che esibiscono pacchi di pasta più e più volte col marchio bene in vista (Pieraccioni), navi da crociera che riempiono la scena, con gli attori che sembra debbano saltare per farsi notare nell’inquadratura (Parenti), fabbriche di panettoni co-protagoniste dei film (Brizzi), e tante pubblicità nascoste qua e là, con lo stesso spirito magliaro con cui negli anni ’70 si piazzavano illegalmente acque, sigarette e liquori.
Di Emiliano Morreale
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