Da Il Quotidiano del Sud del 9 maggio
Walter Pedullà è sempre sulla breccia. Come può essere diversamente? Nato per la lotta, continua a lottare. Ma quello che sorprende è che oggi è più giovane di ieri e dell’altro ieri. La prova è nel recentissimo libro, che adesso sta andando in libreria e che egli sta presentando in questi giorni in varie città della Calabria: Il mondo visto da sotto. Narratori meridionali del ‘900, Rubbettino, Soveria Mannelli 2016, pp . 638. IL volume fa parte di una collana di ricerche di alto profilo, dove figurano opere di Leonida Repaci, Giuseppe Galasso e altri scrittori e studiosi.
Questa nuova opera è una pietra miliare negli studi fatti e per gli studi che si dovranno fare di qua in poi sulla civiltà della letteratura contemporanea e della cultura più in generale coeva nel Meridione e in quel più complessivo Meridione che è attualmente l’intero Paese. I quattro quinti e più dei testi sono estratti dalle precedenti opere dell’autore, che sono tante, – potrebbero riempire un intero scaffale, ammesso che un solo scaffale le possa contenere -, e tutte decisive nella storia della nostra cultura. Di esse, segnaliamo a campionatura: La letteratura del benessere (1968), Alberto Savinio (1979), Miti, finzioni e buone maniere di fine millennio (1983), IL ritorno dell’uomo di fumo (1987), Lo schiaffo di Svevo (1990), Le caramelle di Musil (1993), Carlo Emilio Gadda (1997), Il Novecento segreto di Giacomo Debenedetti (2004), E lasciatemi divertire (2006), Giro di vita (2012), Il vecchio che avanza (2012), Giacomo Debenedetti interprete dell’invisibile (2015).
Sono testi, quindi, già storicizzati. Ma, adesso, riproposti in questa nuova opera, sono altri. Se potessero guardarsi allo specchio, resterebbero sorpresi di sé, di ritrovarsi abbastanza diversi. Perché così è fatta e funziona la scrittura (e analogamente la musica, la pittura e l’arte in genere): essa apre il già scritto e rappresentato a sempre nuove figure e a sempre nuovi semantemi in relazione alle intersezioni, alle tassonomie, alla composizione dell’insieme. L’opera, sostiene Umberto Eco, è puntualmente sempre “aperta”. Ma, bisogna aggiungere, non solo alle ricezioni e alle interpretazioni di chi legge, ma anche alle moltiplicazioni testuali all’infinito, che sono sempre nuove. La neoavanguardia in Italia, negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ha scoperto che un testo può diventare un milione, un miliardo di altri testi.
L’orizzonte d’attesa su cui si affaccia Il mondo visto da sotto, il cui titolo riecheggia una locuzione e un fascio di maliziose intenzioni di rovesciamenti di prospettive e di impertinenze trasgressive di Alberto Savinio, è notevolmente modificato o, diciamo meglio, ridisegnato rispetto a quello degli anni precedenti, soprattutto degli anni Sessanta e Settanta, quelli del decollo industriale e delle battaglie per il rinnovamento e l’avanzamento sociale e civile dell’Italia. Esso poggia su nuovi calcoli di probabilità sotto controllo delle misure prudenziali di una ragione, che non può non tener conto della fine delle grandi narrazioni della modernità e della necessità di navigare a vista sotto costa. Il riscontro è dato dal taglio netto operato da Pedullà nei confronti di tanti suoi saggi e articoli, scritti per quotidiani, riviste, convegni e altre occasioni sin dagli inizi degli anni Sessanta, su eventi, situazioni in svolgimento, temi e personaggi significativi per le vicende contemporanee, che pertanto vengono adesso consegnati alle memorie e alle cronache di un tempo che fu. Oggi, agli occhi dell’autore, quelle vicende e quegli scenari si presentano con un profilo da reinterpretare con maggiore accortezza e in una luce meno perentoria.
In quest’opera, la narrazione delle vicende propone in sostanza una mappa unitaria di sentieri e itinerari intersecatisi e divaricantisi fra loro di un’attività letteraria animata dagli scrittori meridionali, ma di significato nazionale e sovranazionale, tuttora utilissima, se ne sappiamo trarre il succo vitale della sua attualità ed esemplarità, se l’assumiamo come sponda di partenza per tentare di affrontare il groviglio di questioni che ci angustiano, sotto la guida di una ragione ammaestrata dal l’esperienza, ma ancora e sempre inarcata contro le mistificazioni, le manipolazioni di un sistema di controllo a tutela dei privilegiati e dei gruppi di potere.
Il primo degli itinerari ricostruiti è sotto il segno di quelle che Pedullà chiama “le avanguardie”, che in realtà potremmo aggiudicare all’erosione delle certezze, alle decostruzioni e alla messa sotto inquisizione critica senza sconti dell’esistente oltre che alla perdita del centro e della circonferenza. Gli autori interrogati sono tra i più cari a Pedullà: Luigi Pirandello, Corrado Alvaro, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Mario La Cava, Antonio Pizzuto.
Segue, quindi, un “intermezzo” dedicato a situazioni lievitanti e ricche di provocazioni: il divario fra Nord e Sud, la denunzia delle “verità pazze” di Ignazio Silone, l’industrializzazione del Sud, una testimonianza diretta scritta dall’autore da “calabrese” o, meglio, da “emigrante calabrese”, i bronzi di Riace, le ragnatele della ndrangheta per irretire il popolo, e altro ancora.
Si apre poi e si traccia il percorso costituito sulla cifra del realismo, che sembrerebbe di antitesi a quella del primo o delle “avanguardie”, ma, in realtà, osservato nei fatti, è di integrazione costruttiva del discorso, in quanto i due percorsi, al di là delle loro stesse intenzioni, rinviano a una terza via, che si intravede in controluce, di suggerimento di una prospettiva saggia, che tiene conto dell’uno e dell’altro indirizzo, per avviare a soluzione in un contesto storico molto mutato nodi complessi della realtà attuale. Gli autori qui chiamati in scena sono Domenico Rea, Leonardo Sciascia, Giuseppe Bonaviri, Saverio Strati, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Stefano D’Arrigo, l’autore più suggestivo sull’immaginario di. Pedullà, ed Ennio Flaiano.
Parallelo a questo, ma del tutto distinto da esso, per l’uso di altri strumenti e altri referenti narratologici, è l’itinerario della divaricazione e dell’allontanamento marcato dal D’Annunzio e dal dannunzianesimo, cioè dalla letteratura di evasione, Gli animatori di questa operazione sono Leonida Repaci, Francesco Jovine, Carlo Bernari, Giuseppe Dessi, Raffaele La Capria, Vincenzo Consolo, Raffaele Nigro, Dacia Maraini, Gesualdo Bufalino e altri.
Segue lo spartito di un altro intermezzo, riservato ai poeti: Albino Pierro, Jolanda Insana, Renato Minore, A. M. Ripellino, Francesco Serrao.
La mappa termina con una disseminazione di nomi di autori e di puntualizzazioni, che sono come appunti da riprendere e riesaminare, per una collocazione meditata dei vari tasselli all’interno del mosaico delle questioni aperte oggi in un Meridione, che non è solo più dei meridionali dell’Ottocento e del primo Novecento.
Ma questa mappa non conclude l’opera. Che, in realtà, è un congegno multiplo, come lo sono la maggior parte delle ultime opere di Pedullà.
L’insieme degli scenari serve, oltre che a ribadire e a perfezionare le ricerche svolte negli studi precedenti, oltre che a sottolineare che la materia in questione non può essere considerata conclusa e da passare in archivio, a dare il via a un discorso antico e nuovo del che fare, sul piano etico-civile e culturale per misurarsi con la terribile realtà drammatica e insieme vischiosa del nostro tempo in Italia, partendo dal Sud e avvalendosi dei suggerimenti illuminanti che si possono ricavare da una narrativa, che è un generoso dono alle nuove generazioni. La mappa, dunque, fa da griglia per un altro discorso, che Pedullà svolge appassionatamente, nel saggio di quasi novanta pagine collocato a “introduzione” dell’opera. E’ un altro libro, provocatorio, sulfureo, tagliente, che è tutto da leggere e da godere e da meditare per il rinvio del lettore dal godimento della favola all’interrogazione della profezia.
di Ugo Piscopo
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