l ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta dice di voler rendere “impotenti” le lobby. Questa frase ha stimolato un notevole dibattito nel settore. Dopo il commento di Fabio Bistoncini (FB & Associati), interviene l’ex consigliere parlamentare Luigi Tivelli, autore di “Dalla Brutte Époque al Governo Draghi” (Rubbettino): se il governo non prende coraggio su concorrenza e interessi organizzati, un fenomeno che è naturale e democratico resterà sempre sregolato
Il ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, che è il più tecnico tra i ministri politici, in una recente ampia intervista al Corriere della Sera ha evocato la questione della complessità e della problematicità del varo e dell’attuazione delle riforme inserite nel Pnrr. Evocando poi esplicitamente il rischio che molte lobby si attrezzeranno per bloccare e contrastare buona parte delle riforme. Per come di solito agisce la nostra classe politica e parlamentare il rischio ci può essere, ma per un progetto straordinario come il Recovery Plan (la cui attuazione durerà per sei anni) sarebbe il caso che sia i ministri che soprattutto il Parlamento dimostrassero almeno una parte di quel coraggio riformatore che ha dimostrato e sta dimostrando il presidente Draghi, sia nei rapporti con Bruxelles, sia nella forte spinta propulsiva che ha condotto all’inserimento di riforme cruciali nel Pnrr.
Quanto poi alle lobbies, sarebbe finalmente il caso di por mano ad una seria ed efficace disciplina dell’attività di lobbying da sempre ipotizzata e mai attuata, secondo alcuni critici anche perché più di qualche lobbista di ritrova tra gli stessi parlamentari e gli ex parlamentari. Che sono gli unici che hanno l’accesso garantito ai palazzi del potere.
Rendere trasparenti, e porre seri vincoli all’attività di lobbying, come avviene in tutti i paesi civili, mi sembra il sistema migliore per disciplinare e frenare il fenomeno che è naturale che esista in ogni democrazia, ma che va regolamentato e arginato.
Basti pensare all’ultima e più significative delle riforme inserire da Draghi nel Pnrr, cioè quella che riguarda la disciplina della concorrenza e il fermo impegno al ripristino regolare della legge annuale sulla concorrenza. Lo stesso Presidente Draghi ha parlato di “una continuativa e sistematica opera di approvazione e modifica delle norme che frenano la concorrenza, creano rendite di posizione e incidono negativamente sul benessere dei cittadini”, sottolineando che “questa opera è anche rivolta ad impedire che i fondi che ci accingiamo ad investire finiscano soltanto ai monopolisti”.
Ebbene, la legge annuale sulla concorrenza era stata istituita dal 2009, ma, basti dire, per evidenziare la sensibilità delle nostre classi politiche, che è stata varata solo per un anno nel 2017 e per il resto regolarmente aggirata. E quell’unica legge del 2017 che conteneva piccole liberalizzazioni per notai, farmacisti, servizi pubblici locali ed altro, ha avuto non solo l’assalto delle lobby e della categorie interessate in Parlamento, ma queste hanno trovato facilissime porte aperte tra i molti parlamentari che si facevano essi stessi portatori degli interessi di piccole e grandi corporazioni e categorie, fino ad essere in gran parte svuotata.
Poiché mi sembra che l’andazzo della classe parlamentare non sia cambiato di molto, occorrerà invece, per attuare non solo le leggi annuali della concorrenza, ma anche le altre riforme del Pnrr, un ben diverso approccio da parte delle classi politiche e parlamentari, anche perché tutto avverrà sotto l’occhiuto monitoraggio di Bruxelles e se le riforme non verranno varate e attuate non arriveranno i bonifici semestrali dei finanziamenti del Recovery Plan.