Da Italia Oggi del 22 gennaio
Nato nel 1908, vide la fine del nazismo, del quale, ricercatore a Berlino nel 1933, aveva assistito al trionfo. Quando le truppe di Hitler invasero la Francia, l’israelita Raymond Aron seguì De Gaulle in Inghilterra e con lui ritornò in patria. Dove un nuovo pericolo era sorto: il comunismo dominava la cultura Anche per opera di Jean Paul Sartre. Lo aveva avuto condiscepolo in università, erano rimasti amici, ma schierati su fronti opposti. Morto nel 1984, non poté assistere alla caduta del comunismo. Alla cultura francese ha offerto un notevole contributo. Molte le aree coltivate: filosofia e scienza politica, sociologia e polemologia, relazioni internazionali e studi strategici. Convinto com’era che i risultati delle ricerche scientifiche debbono arrivare anche agli uomini comuni, fu giornalista per mezzo secolo. Non solo in Francia, al Figaro e a L’Express, ma anche in Italia al Giornale di Montanelli. Ora Alessandro Campi, che come lui è attivo in università e nella stampa quotidiana, gli dedica una acuta e limpida raccolta di saggi, che ne illustrano i molti aspetti: La politica come passione e come scienza. Saggi su Raymond Aron (Rubbettino, pp. 202, euro 14).
Aron cercò di mettere in luce, nel solco di Montesquieu e Tocqueville, i valori che reggono la politica e insieme di aprirsi al realismo politico, soprattutto di Machiavelli e Hobbes. Non c’è politica senza ideali, ma questi divengono necessariamente ideologie o utopie, ossia verità distorte difendere interessi passati o futuri. E spesso i più alti ideali, come la triade «libertà, eguaglianza, fraternità», producono regimi disastrosi per l’umanità. Il compito della scienza politica è di demitizzare le ideologie, catturate e strumentalizzate dai partiti politici, che tendono tutti ad uno stile militare.
Studioso attento ai conflitti geopolitici, Aron, in dialogo costante con Clausewitz (1987), disvelò la superficialità e anche la falsità del pacifismo. Politica e guerra sono affini, la seconda continua la prima con altri mezzi. Non si tratta tuttavia di esaltare una cinica politica di potenza, anzi ciò che più conta è cercare la pace, ma anche sapere che vi saranno sempre dei momenti in cui non è possibile fermare i conflitti. Senza guerra Hitler non sarebbe mai stato sconfitto (Pace e guerra tra le nazioni, 1962). Come non lo sarà Isis.
Grande fu il contributo di Aron al metodo dell’insegnamento universitario, che deve essere, come in Max Weber, «avalutativo» (Le tappe del pensiero sociologico, 1967). Il docente non è né un predicatore, né un agit-prop, ma un perenne ricercatore che aiuta gli studenti a conoscere, nel modo più oggettivo possibile, le idee e i personaggi. Prima di tutto comprenderne (Weber: verstehen) il senso, senza escludere una critica personale, che tuttavia va fatta solo dopo e sempre distinta dall’esposizione. «Ho insegnato per tutta la vita Marx senza condividerlo, ma prima di tutto per farlo capire» (Marxismi immaginari, 1969). Combatté il maggio francese del 1968, in cui vedeva solo una barbarie dall’interno.
In ciò la sua opposizione agli intellettuali «engagés» (Sartre) e «organici» (Gramsci), che tradiscono la loro missione e divengono dei venditori di droga (L’oppio degli intellettuali, 1955). Il compito dell’uomo di cultura non è di essere un capopopolo o un consigliere del Principe. E di stimolare la comprensione e lo spirito critico, in continuità con il liberalismo europeo. Suggestionato dal nostro Vico, Aron rifiuta il mito del progresso, forma atea della provvidenza religiosa. La storia va un po’ avanti e un po’ indietro e talvolta per farla andare avanti occorre tornare indietro (Le delusioni del progresso, 1969). Nessun progetto reazionario, il liberalismo non può essere quello dell’Ottocento. Deve aprirsi al sociale, ma anche evitare due degenerazioni: la socialdemocrazia, il lib-lab, in cui lo statalismo assistenzialista prevale sulla iniziativa e sulla libertà; e il radicalismo, che esalta una libertà gratuita, priva di valori permanenti. Un «liberalismo conservatore», dunque, unica via per fermare la degradazione del nostro continente (In difesa di un’Europa decadente, 1977).
Ciò che Aron rivendica è l’autonomia della politica, che non può essere considerata come una sovrastruttura dell’economia o una estensione della morale e della religione: «Per quel che riguarda l’uomo, la politica è più importante dell’economia, in quanto concerne più direttamente il senso stesso dell’esistenza» (Democrazia e totalitarismo, 1965). Egli ripropone la grande tradizione europea: «L’uomo è per natura un essere socievole, chi vive fuori della comunità è un abietto o un superuomo» (Aristotele, Politica, I, 2).
Alle spalle di Aron c’è la grande ombra del Segretario fiorentino. Com’egli riconobbe nella conferenza Machiavelli e Marx, tenuta nel 1969 all’Istituto italiano di cultura a Parigi: «Sono un discepolo liberale di Machiavelli». Realismo politico, certo, ma non machiavellismo, dato che la politica, fredda come la scienza e calda come la passione, è distinta dalla morale, ma non separata da essa.
di Gianfranco Morra
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