Da Aleteia del 14 dicembre
Pochi autori sono profetici come il buon vecchio Gilbert K. Chesterton. Ancora troppo pochi i suoi lettori quando – per trovare una idea luminosa oggi – ognuno si dovrebbe confrontare col vecchio brontolone. A più di cento anni di distanza le intuizioni sono ancora lucide, e certi testi, come quello che stiamo per recensire, è forse più che lucido: è rivoluzionario. Rivoluzionario come la verità. Rivoluzionario come un grido di libertà di fronte al tiranno dispotico. La forza di questo e di altri testi è di avere un linguaggio semplice e tuttavia non banale ma soprattutto di avere una ironia che rende possibile prendersi gli schiaffi che l’Autore ci dedica per svegliarci da un certo atteggiamento borghese, senza per questo avercela con lui. Insomma gli siamo grati due volte: la prima per la sveglia ricevuta, la seconda per le parole – parole semplici, schiette – che ci mette in bocca, una su tutte: libertà. Prendiamo subito a prestito alcune righe dalla prefazione di Marco Sermarini a questo testo del 1910 “Cosa c’è di sbagliato nel mondo” edito da Rubettino:
La nostra società sta provando quello che Chesterton aveva previsto cent’anni fa. Enorme disparità tra ricchi e poveri, la famiglia considerata d’impaccio mentre si cerca di sdoganare come famiglie cose che non lo sono, la scuola un caos, l’educazione come addestramento di animali da circo, le nostre libertà basilari attaccate e l’invenzione di “nuovi diritti” in nome di non si sa bene cosa, se non l’arbitrio e la dittatura del relativismo. «Non solo siamo tutti nella stessa barca ma abbiamo tutti il mal di mare», dice Chesterton.
E le parle di GKC sono un monito per tutti coloro che vogliono essere chiamati uomini e non fantocci:
«Nessun uomo domanda più ciò che desidera, ogni uomo chiede quello che si figura di poter ottenere. E rapidamente la gente si dimentica ciò che l’uomo voleva davvero in principio; e dopo una vita politica vivace e di successo, un uomo dimentica se stesso. Il tutto diventa uno stravagante tumulto di seconde scelte, un pandemonio di ripieghi. Questo tipo di flessibilità non solo impedisce ogni robustezza eroica, ma impedisce anche un qualsiasi compromesso realmente pratico»
Ed ecco che diventa chiaro come i tratti del disegno umano della Cristianità ritornano ad assumere toni brillanti e decisi nella penna di Chesterton:
l’uomo, con la sua scanzonata predilezione per la compagnia, la donna, con la sua ardente dedizione universale, il bambino, con la sua spaventosa meraviglia verso i colori; ecco la casa di cui il Creatore pensò che fosse cosa buona. Quel regno anarchico le cui uniche leggi sono la diversità e il dilettantismo, cioè la sacralità dell’individuo e la voglia di partecipare al disegno della Creazione, alla meno peggio, il che vuol dire con tutto se stessi.
Il volume – con il quale non bisogna essere per forza d’accordo per ogni riga, ma grati per ogni riflessione che ci costringe a fare – ci accompagna attraverso 5 parti e decine di capitoletti di agile lettura e il cui apice potrebbe essere condensato in questo passaggio:
L’uomo si è smarrito da sempre. È stato un vagabondo fin dal tempo dell’Eden, ma ha sempre saputo, o pensato di sapere, cosa stava cercando. Da qualche parte, nel cosmo che ogni uomo si figura, c’è una casa; c’è sempre una casa che lo aspetta, sia essa sommersa nei fiumi tranquilli del Norfolk o sotto il sole delle colline del Sussex. L’uomo è sempre stato alla ricerca della sua casa ed essa è il vero soggetto di questo libro. Ma in mezzo alla tetra e tremenda grandinata di scetticismo a cui è stato soggetto da molto tempo e fino a ora, l’uomo per la prima volta è stato investito dal gelo, che ha ricoperto non solo le sue aspettative, ma i suoi desideri. Per la prima volta nella storia l’uomo ha cominciato a dubitare del motivo per cui vaga sulla terra. Si è smarrito da sempre, ma adesso ha perso anche l’indirizzo di casa sua.
di Lucandrea Massaro
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