In meno di un’ora di conversazione Nicola Longo riesce a raccontare una serie di aneddoti che una sola sceneggiatura poliziesca non basterebbe a contenere. Può menzionare uno per uno i mammasantissima calabresi che ha arrestato a Roma, parlare dei traffici di cocaina in cui si è infiltrato tra night e salotti della Capitale, ricordare come ha sgominato i laboratori dei marsigliesi che fornivano eroina a mezzo mondo, oppure ridere della somiglianza che Gerard Depardieu sosteneva di avere con lui perché voleva interpretare il film sulla sua vita.
Il film mancato di Fellini sul Serpico calabrese
In realtà lui pensava di avere più tratti in comune con Sylvester Stallone e sognava di essere impersonato da Robert De Niro, ma Federico Fellini, che pure ci credeva, non è mai riuscito a girare quel film. Su indicazione di Tonino Guerra – poeta, scrittore e sceneggiatore che ne ha parlato anche a Tg2 Storie – il regista aveva letto la prima bozza dell’autobiografia di Longo, La valle delle farfalle: gli era talmente piaciuta da fargli firmare subito un contratto. Il progetto per portare al cinema la vita leggendaria di quel poliziotto di origini calabresi, definito da Fellini «un poeta con la pistola», non è però mai andato in porto. Adesso quel libro è stato pubblicato da Rubbettino con il titolo di “Macaone” e una postfazione di Vincenzo Mollica.
Il poliziotto infiltrato per conto dei servizi segreti
Le cronache della Roma nera degli anni ’70 e ’80 riportano spesso le imprese spericolate del «Serpico italiano». Lavora ufficialmente per la Narcotici, ma ancora prima di iniziare a fare il poliziotto viene contattato dai Servizi segreti. Dopo anni da undercover, infiltrato prima tra gli hippie di Piazza di Spagna e poi tra i trafficanti della Roma bene, finisce per collaborare a più operazioni di portata internazionale con la Dea. Mettendo le manette a boss della ‘ndrangheta e di Cosa nostra, oltre che a leggende del crimine come “Renatino” De Pedis (uno dei capi della banda della Magliana) e il boss corso-marsigliese Jack Masia.
Da bullizzato a lottatore
La sua avventurosa vita inizia nella Piana di Gioia Tauro degli anni ‘50, tra Taurianova e Polistena. Il padre, sottufficiale dei carabinieri, arresta qualche parente di alcuni suoi compagni di scuola che, per questo, lo bullizzano in ogni modo. O almeno ci provano, perché lui reagisce scoprendo che i suoi pugni fanno parecchio male. Ne nasce la passione per la boxe – ma in seguito diventa anche una promessa olimpica della lotta libera – che lo porta, nel 1962, ai Campionati italiani novizi di pugilato. È tra i finalisti dei welter leggeri e si scontra con un certo Casamonica, membro di una famiglia di nomadi stanziali nel Lazio di cui, anni dopo, avrebbe arrestato un parente che aveva importato dal Pakistan un carico di eroina nascosto dentro un blocco di marmo.
«Volevo fare pugilato, non la guerra»
A 17 anni entra nelle “Fiamme Oro”, i gruppi sportivi della Polizia, ma quando lo convocano per il ritiro della nazionale di pugilato deve fare una scelta. È stato infatti ammesso alla Scuola Allievi Sottufficiali e una strada esclude l’altra: o lo sport o la divisa. «Amavo la boxe – racconta a I Calabresi – e prima di entrare in Polizia avevo fatto un corso speciale nell’Esercito per incursori arditi. Mi dicevano che avrei fatto sicuramente una bella carriera militare, ma io volevo fare il pugilato, non la guerra». Si rivela decisivo un colloquio con il professor Franco Ferracuti, psichiatra e criminologo del Sisde. «Mi convocò nel suo ufficio ancora prima che prendessi servizio alla Mobile. E mi disse: “Il tuo destino è qua, nei Servizi”. Negli anni è diventato il mio mentore. Anzi, la mia ombra».
Il mio nome è Massimo Macaone
All’inizio degli anni ’70 comincia il lavoro di infiltrato per la Narcotici. Come prima cosa gli dicono di scegliere un nome falso e lui opta per Massimo Macaone, un omaggio a un esemplare di farfalla che lo riporta alle sue radici, ai pomeriggi assolati della Calabria, e che richiama un eroe omerico. «Con i capelli lunghi, una camicia aperta sui jeans sdruciti, scarpe logore e al collo un laccio di cuoio con appeso un dente di pescecane, mi confondevo con i giovani hippie di piazza di Spagna. Sulla scalinata di Trinità dei Monti avevo sistemato un cavalletto sul quale dipingevo miniature di paesaggi che vendevo ai turisti».
Quando fece scappare un ragazzo di Rosarno
Come gli è già capitato nelle guerriglie urbane con studenti e operai «che non percepivo come nemici», anche nei tossicodipendenti non vede avversari da sconfiggere «ma vittime da salvare». Scopre proprio a Piazza di Spagna quanto sia difficile fare amicizia con persone che poi potrebbe far arrestare. E gli capita anche di far scappare, di proposito, un conterraneo di Rosarno che sarebbe poi diventato una presenza costante della sua vita. Si fa chiamare Schizzo e della sua vicenda personale, narrata nel libro con la tenerezza del ricordo, si sarebbe innamorato anche Fellini.
Nobile siciliano e narcos capitolino
In un altro incarico da undercover assume l’identità di un nobile siciliano, Nicola Paternò, proveniente dalla Colombia e arrestato in Germania con una grossa partita di cocaina da piazzare a Roma, probabilmente nei locali notturni. L’arresto non viene reso noto, così lui si può spacciare per il barone siculo infiltrandosi nel giro dei night. Per completare la trasformazione, da fricchettone a nobile playboy con la Mercedes messa a disposizione dal Ministero, si sarebbe reso necessario un passaggio dal barbiere. Ma anche un corso di galateo con madame Annie, nobile di origini austriache a cui qualche tempo prima avevano rubato i gioielli di famiglia. Che proprio lui aveva recuperato «arrestando due tossici mentre tentavano di rivenderli».
La sparatoria e l’arresto di Vallanzasca
Ha condotto sotto copertura diverse operazioni contro il riciclaggio di denaro sporco e il traffico internazionale di armi. È stato pure protagonista dell’azione che dopo una sparatoria per le strade di Trastevere ha portato all’arresto di Renato Vallanzasca e della sua banda. Nel 1978 è rimasto gravemente ferito, per la seconda volta, in un conflitto a fuoco. Durante la convalescenza scrive un racconto destinato alle scuole per la prevenzione della tossicodipendenza. È il suo esordio con la scrittura. E quando Guerra lo legge non può che incoraggiarlo a continuare.
Stregato da Fellini
C’è un bel po’ di Calabria in “Macaone”, dall’infanzia nella Piana alla violenza delle faide, con le parole del padre che gli tornano spesso in mente: «Uno ’ndranghetista vale quanto una penna lasciata al vento o quanto l’oro di tutta Francia». Nel Cinema Italia di Polistena, dove aveva visto “La Strada”, è nata la sua passione per quel mondo. Di nascosto era riuscito a portarsi a casa delle lastre e aveva messo in piedi, con una scatola bucata e una pila elettrica, delle proiezioni casalinghe su cui ricamava storie inventate. «Quando lo raccontai a Fellini – confida – disse che ce l’avevo nel sangue e che avrebbe voluto insegnarmi a fare il regista».
Il regista si fa portare da lui in moto in giro per Roma, spesso di notte, a scegliere i luoghi che avrebbero dovuto essere il set de La valle delle farfalle. Poi però tutto naufraga a causa di alcune divergenze tra Fellini e il produttore, ma si parla anche di pressioni arrivate dai vertici nazionali della Polizia. «Lui non ha mai smesso di pensarci – spiega Longo, e la lettera inviatagli dal regista nel luglio del 1989 lo conferma – e penso volesse fare qualcosa che richiamasse il neorealismo. Giulietta Masina, dopo la sua morte, mi confermò che ai piani alti del Viminale non volevano che il film si facesse, dicevano che era per non mettermi a rischio… mah».
Da poliziotto a scrittore
Di certo il pericolo, dopo una vita di adrenalina e storie folli che oltre al fiato sospeso custodiscono anche una certa sensibilità, non sarebbe stato una novità per Longo. Come non lo è l’ennesima trasformazione, la sua seconda vita: da poliziotto a scrittore. «La Polizia è come il resto del mondo, al suo interno c’è il bene e c’è il male. Ma io ora mi sento uno scrittore, è questa la mia nuova strada». Così, prima di salutare il cronista «paesano» con altri episodi degni dei polizieschi di Enzo G. Castellari o di quelli con Tomas Milian che lui stesso ha ispirato, spiega che sta già lavorando al seguito di “Macaone”. Le storie non gli mancano. E sa anche come raccontarle.