Il più famoso chicken game nella storia del cinema è in Gioventù bruciata, titolo originale Rebel Without a Cause (1955), dove Jim (James Dean) e Buzz (Corey Allen) si lanciavano su due vecchie bagnarole a tutta velocità verso un burrone, ed era chicken (pollo, in questo caso fifone) chi saltava giù dalla macchina per primo. Buzz, con la giacca impigliata nella portiera, finiva nel burrone. Il più frequente chicken game, una follia di certi adolescenti americani degli Anni 50, era però in un’altra versione, con due auto lanciate su un rettilineo una contro l’altra ed era chicken chi per evitare lo scontro micidiale sterzava per primo.
L’ITALIA ALLO SCONTRO CON UE E BCE. Secondo Barry Eichengreen, autorevole storico dell’economia e della moneta, Roma rischia prima o poi di dare vita a un micidiale chicken game politico-monetario-finanziario con Bruxelles e Francoforte. Questo perché gli italiani sono su due tracciati destinati a scontrarsi. Da un lato hanno scelto una leadership politica nuova che mette in discussione molto del passato. Dall’altro, a netta maggioranza dicono sondaggi e comune esperienza quotidiana, vogliono tenersi l’euro, che viene descritto però spesso dai nuovi leader come parte di questo passato. Gli italiani tuttavia ritengono che il conto bancario in lire sarebbe assai più volatile.
DAI SOVRANISTI TREGUA SULL’EURO. Per ora la convivenza regge, con qualche scossa e perdita sui mercati, seguita da ultimo da maggiore prudenza. Persino Paolo Savona, ministro euroscettico delle Politiche europee, ha fatto il 12 giugno l’elogio dell’euro, presentando la sua autobiografia intellettuale, Come un incubo e come un sogno (Rubettino), alla Stampa Estera a Roma. Ma se le misure promesse di politica economica non daranno i risultati sperati, dice Eichengreen, o se sarà difficile aggiungiamo noi adottarle in pieno per i limiti di spesa in deficit imposti dall’appartenenza all’euro, e i risultati saranno deludenti, è facile che la nuova dirigenza italiana incolpi l’Europa e l’euro, e in modo pesante.
Purtroppo una fiorente pubblicistica anti euro, campagne politiche e altro, hanno fatto credere che l’euro sia «una moneta sbagliata», slogan salviniano
Eichengreen ha scritto dopo avere visto le parole rassicuranti del ministro dell’Economia Giovanni Tria di domenica 10 giugno, ma pensa si tratti da parte del nuovo governo italiano più di una tregua che di una svolta. E che il chicken game sia sempre dietro l’angolo. Sarebbe pericoloso, con Roma convinta che saranno le due capitali europee, di fatto i partner del Consiglio europeo, a cedere di fronte alle richieste italiane di sforamento massiccio dei bilanci, per paura di un’uscita unilaterale dell’Italia dall’euro, dell’ignoto, dello sfaldamento europeo e altro. E con Bruxelles e Francoforte convinte che sarà Roma a cedere di fronte all’abisso, piegata più ancora che dalle regole dell’euro dalla fuga dei capitali e dai mercati.
IL NOSTRO PAESE HA TUTTO DA PERDERE. Speriamo di no. Ma è certo che fra i due è l’Italia il giocatore più debole e quello che ha più da perdere. Chi sostiene il contrario dovrebbe dimostrarlo, perché è arduo affermare che un solo Paese ha più forza contrattuale di un insieme di altre 18 nazioni, nessuna delle quali, contenta o meno della moneta unica, sembra intenzionata a lasciarla. La regola del chicken game sta nella capacità di andare fino al limite senza rompersi il collo. Obiettivo non facile. Il termine non identifica solo una stupidaggine adolescenziale degli americani di 60 anni fa, ma anche un punto centrale della «teoria dei giochi» di cui il ministro Paolo Savona è cultore.
L’ESERCITO DEGLI IMBONITORI ANTI-EURO. Purtroppo una fiorente pubblicistica anti euro, campagne politiche e altro, hanno fatto credere che l’euro sia «una moneta sbagliata», slogan salviniano. Tornare alla lira avrebbe meravigliosi vantaggi, ripete il salviniano Claudio Borghi. Fra i molti venditori di snake oil, l’olio di serpente miracoloso degli imbonitori da fiera americani, Borghi è il più avventuroso di tutti, sostiene l’incredibile, in particolare che con la ‘Nuova Lira’ il debito non sarebbe un problema, scalpita per i minibot moneta parallela, ed è ora in parlamento.
Eichengreen, docente a Berkeley, è oggi il miglior erede del grande Charles P. Kindleberger (1910-2003), sui cui insegnamenti ha detto alcuni anni fa con modestia di avere «campato una vita». E Kindleberger, soprattutto in due dei suoi numerosi libri, The World in Depression (1973) dedicato soprattutto all’Europa dell’entre deux guerres e il successivo Manias, Panics and Crashes (1978) insiste molto sul ruolo di una potenza egemone “benevola” come stabilizzatore, in quanto riconosce nella stabilità generale la migliore risposta ai propri più veri interessi, ed è in grado di favorirla. Il ventennio fra le due guerre e soprattutto gli Anni 30 furono così difficili perché Londra non poteva più farlo e gli Stati Uniti non vollero farlo.
LA GERMANIA ANCORA TROPPO EGOISTA. Non è storia economica lontana: ci riporta rapidamente all’oggi, all’Europa e all’Italia. Oggi nel Vecchio continente l’unico Paese che potrebbe svolgere questo ruolo è la Germania, ma per vari motivi, non esclusa la scarsa disponibilità dell’elettorato ad assumersi impegni paneuropei (il mercato unico serve ma non va troppo servito) non lo fa né lo farà. Resta quindi quel tanto che esiste di struttura dell’Unione, con l’euro punta avanzata, per cercare di mantenere e migliorare strumenti e responsabilità comuni che contrastino la solitudine dei nazionalismi. L’euro, con tutti i suoi difetti, è il simbolo e lo strumento principale di queste politiche europee.
TRUMP E PUTIN TIFANO PER TANTE BREXIT. Con Donald Trump gli Stati Uniti hanno invertito rotta e non sono più il leader dell’Occidente. Prediligono i nazionalismi anche in Europa, rovesciando così una linea seguita per oltre 60 anni, dal 1947, che li ha visti attivi artefici dell’Europa di Bruxelles. Con un’Europa frazionata avrebbero più mano libera. E ancor più libera l’avrebbe la Mosca di Vladimir Putin. Tifano – più i russi che in questo non fanno che continuare una tradizione zarista e bolscevica – per tante Brexit. Lo sapeva già il Joseph Conrad di The Secret Agent (1907) e di Under Western Eyes (1911). Ma è nel nostro interesse, nell’interesse dell’Italia, assecondare queste politiche? Kindleberger commentava così il rigurgito di nazionalismo e protezionismo in Europa 85 anni fa: «Quando ogni Paese si dette a proteggere il suo privato interesse nazionale, l’interesse generale del mondo (leggi Europa, ndr) se ne andò nello scarico, e con questo gli interessi privati di tutti».
Se l’Unione europea non cede, sarà bene che l’Italia a un certo punto lo faccia. Saremmo difatti soli contro una dozzina e mezza di partner, nessuno disposto a seguirci
Un chicken game fra Italia e Unione resta purtroppo una concreta possibilità. Quanto dichiarato dal ministro Savona il 12 giugno sugli «aspetti positivi dell’euro» e sulla sua «indispensabilità» è stato preso come segnale di un ritrovato europeismo. Il ministro ha anche chiesto poteri maggiori alla Bce su modello della Fed americana, operazione non facile in un’Europa di Stati sovrani e non entità federale come gli Stati Uniti. Ma Savona è andato oltre, nella frase più significativa. «C’è un vincolo europeo, il 3%, che dobbiamo rispettare ma abbiamo anche un mandato dagli elettori e quindi dobbiamo trovare una conciliazione. La mia idea è che sia l’Europa a trovare una soluzione se non vuole incappare in un problema al voto europeo del 2019». Savona mette così le mani avanti: abbiamo due obblighi, uno imposto dai Trattati l’altro dalla democrazia, e senza “conciliazione” l’obbligo democratico al voto europeo potrebbe farsi più stringente.
UN SCONTRO DA EVITARE IN OGNI MODO. Questa è una mossa del chicken game contemplato dalla teoria dei giochi, così cara a Savona. Mentre è nell’interesse di entrambi i giocatori che o A o B a un certo punto ceda, dice la teoria, la scelta ottimale dipende da ciò che fa l’avversario: se A cede bene, se non cede è meglio che sia B a un certo punto a cedere. Quindi se l’Unione non cede, sarà bene che l’Italia a un certo punto lo faccia. Saremmo difatti soli contro una dozzina e mezza di partner, nessuno disposto a seguirci. Sarebbe una contesa asimmetrica, totalmente asimmetrica, con l’Italia in forte iniziale svantaggio. Spesso la teoria dei giochi, un trapezio intellettuale per menti “intelligenti e razionali”, cosa che mai va data per certa, è sfuggita di mano. Il chicken game è forse già incominciato. Per qualcuno sarà anche un sogno. Ma per la maggioranza degli italiani sarà piuttosto un incubo.
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