Da Il Messaggero del 30 dicembre
A lungo dimenticato dagli storici, torna in libreria – a partire -dal prossimo 14 gennaio – il diario dal fronte del soldato Benito Mussolini (Giornale di guerra.1915-1917, pp. 336, euro 16, con numerose illustrazioni e cartine, Rubbettino Editore), in un’edizione curata dalla storico Alessandro Campi, autore della lunga introduzione e delle oltre 300 note che corredano il testo e ne fanno una sorta di edizione critica.
Mussolini partì per il fronte, richiamato con gli appartenenti alla classe 1884, il 3 settembre 1915 e fu inquadrato nell’XI reggimento bersaglieri. La sua esperienza di guerra terminò il 23 febbraio 1917, dopo il ferimento causato dallo scoppio accidentale di un lanciamine nel corso di un’esercitazione. Antimilitarista quando militava nei ranghi del socialismo massimalista, Mussolini era poi divenuto uno dei più convinti sostenitori della partecipazione italiana alla Prima guerra mondiale. Lasciata la direzione dell’Avanti!, il 15 novembre 1914 aveva mandato in edicola il ‘Popolo d’Italia , divenuto l’organo ufficiale degli interventisti.
LE EDIZIONI
Il suo diario, sotto forma di corrispondenze di guerra, fu pubblicato sul quotidiano milanese tra il dicembre 1915 e il febbraio 1917. Fu poi riproposto in volume negli anni del regime, a partire dal 1923, ma in versioni censurate, dalle quali erano spariti tutti i brani critici nei confronti della religione e della Chiesa (finalmente ripristinati nell’edizione Rubbettino).
«Questo diario – spiega Campi ha il vantaggio di essere stato scritto e pubblicato in presa diretta, diversamente dalla maggior parte delle memorie di combattenti apparse a guerra conclusa, spesso anche a distanza di molti anni. Sono pagine che non anticipano il culto del duce e il futuro capo del fascismo, come qualcuno ha sostenuto, ma che avevano comunque una finalità in parte politica e strumentale: sostenere pubblicamente le ragioni dell’interventismo e scacciare le accuse di imboscato che i neutralisti rivolgevano a Mussolini. Ma in generale si tratta di un testo veritiero, persino crudo, che descrive bene le difficoltà e le durezze della guerra di trincea come le hanno conosciute migliaia di italiani. E che dunque merita di essere riletto nell’occasione del lungo centenario della Grande Guerra. Quello che ancora oggi colpisce è lo stile di scrittura: asciutto, nervoso, essenziale, molto diverso dal linguaggio aulico e retorico dei corrispondenti di guerra. E questo spiega perché all’epoca questo diario ebbe tanto successo».
LE SCELTE
I brani riproposti in questa pagina si riferiscono alle prime settimane della guerra di Mussolini: quelle del suo battesimo di fuoco sull’Alto Isonzo (successivamente sarebbe stato trasferito col suo reggimento in Carnia e nel Carso friulano).
13 SETTEMBRE 1915
Ore due: sveglia e in rango. C’è da ricevere la cinquina, un paio di scarpe da fatica, una coperta da campo e una scatoletta di carne da consumare durante il viaggio. Quest’operazione dura un paio d’ore. I bersaglieri si pigiano dinanzi alla fureria. È l’alba! «Zaino in spalla!».
In marcia verso la stazione. Il treno è pronto, ma si parte con un lieve ritardo. Siamo 351, compresi i tre ufficiali, un tenente e due sottotenenti, che ci accompagnano. Occupiamo i vagoni. Nell’attesa, una donna completamente vestita di nero taglia i gruppi delle persone raccolte attorno al treno e sí getta fra le braccia del marito che parte. Il marito, col ciglio asciutto, si divincola dolcemente dalla stretta affettuosa e incuora la donna che si allontana, adagio, colle mani sulla faccia, per nascondere le lacrime. È l’unico episodio patetico della partenza. Il nostro vagone è adornato di rami. Una prima scossa. Un fischio breve. Ecco: il treno va. Addio! Addio! Un agitare convulso di mani fuori dai finestrini e un gridare tumultuoso: Addio! Addio! Poi canti a voce spiegata. I miei amici gridano: Viva l’Italia!
14 SETTEMBRE
Sveglia alle cinque. Sento che le mie ossa sono un po’ ammaccate.
Un’ora di marcia, con uno zaino che pesa trenta chili, mi rimetterà in forma. Siamo nel cortile dell’accantonamento e attendiamo l’ordine di partire per Caporetto. Nella notte romba il cannone, verso Gorizia. Nell’accampamento, vigilato dalle sentinelle, silenzio alto. Si «sente» la guerra.
16 SETTEMBRE
Mattina fredda. Sull’Isonzo è un velo di nebbia. La notizia del mio arrivo a Caporetto si è diffusa. Discorsi e impressioni. Due sodati d’artiglieria. Accidenti! A sentirli, il nostro esercito è quasi interamente distrutto; l’Inghilterra dorme, la Francia è spezzata, la Russia finita.
Durante la distribuzione del rancio, un capitano medico mi cerca tra le file. «Voglio stringer la mano al direttore del Popolo d’Italia».
18 SETTEMBRE
Ci siamo accovacciati fra i sassi, sotto le stelle. Un ufficiale è passato fra noi e ci ha ordinato di caricare i fucili e di innestare le baionette. Nessuno, per nessun motivo, deve abbandonare il proprio posto!
Alle dieci è incominciata l’azione. Ecco il pam secco e fragoroso dei fucili italiani. I fucili austriaci affrettano il loro ta-pum. Le «motociclette della morte» incominciano a galoppare. Il loro ta-ta-ta-ta ha una velocità fantastica. Seicento colpi al minuto. Le bombe a mano lacerano l’aria. Dopo mezzanotte il fuoco è di una intensità infernale. Razzi luminosi solcano ininterrottamente il cielo, mentre si spara disperatamente su tutta la linea. Raffiche di pallottole scrosciano sulle nostre teste. «A terra! A terra!», si grida.
23 SETTEMBRE
Siamo a 1897 metri d’altezza. Il pendio della montagna è del settantacinque-ottanta per cento. Una vera parete. Guai a rotolare un sasso! Per salire e scendere ci gioviamo di una corda che, legata agli alberi, va dal Comando della compagnia al posto estremo di collegamento, in fondo valle. Ieri sera, pioggia eccezionale di bombe. Sono bombe che si annunciano con un sibilo curiosissimo. Quasi umano. Sono lanciate col fucile.
Se trovano il terreno molle, non scoppiano. Ma ieri sera sono scoppiate quasi tutte. Nessuno di noi ha potuto chiudere occhio. Un morto e un ferito.
10 OTTOBRE
Mattinata meravigliosa di sole. Orizzonte limpidissimo. Si ordina la statistica dei caricatori. Ogni soldato deve averne ventotto. Ore dieci. Uno shrapnel è passato fischiando sulle nostre teste. In alto. Non trascorrono cinque minuti, che un secondo shrapnel scoppia con immenso fragore a tre metri di distanza del mio «ricovero», a un metro appena dalla tenda del mio capitano. Ero in piedi. Ho sentito una ventata violenta, seguìta da un grandinare di schegge. Esco. Qualcuno rantola. Si grida: «Portaferiti! Portaferiti!».
Sotto al mio ricovero ci sono due feriti che sembrano gravissimi. Un grosso macigno è letteralmente innaffiato di sangue. Gli ufficiali sono in piedi che impartiscono ordini. Quando lo spettacolo della morte diventa abitudinario, non fa più impressione. Oggi, per la prima volta, ho corso pericolo di vita. Non ci penso.
19 OTTOBRE
Notte agitata. Bombardamenti lontani e profondi. Dicono che è in direzione di Tolmino e Gorizia. L’«azione» sembra fissata per domani. Sole. Comincia il concerto maestoso, formidabile delle nostre artiglierie. Chi sta, anche per una giornata sola, sotto il bombardamento di un centinaio di cannoni che sparano simultaneamente, riporta una impressione indimenticabile, sbalorditiva. Alla sera, si è intontiti. I nervi non rispondono più.
23 OTTOBRE
Notte agitata. Ieri sera gli austriaci hanno fatto esplodere una mina di proporzioni enormi. Pareva che tutta la montagna dovesse «saltare». Le signorine impiegate del Credito Italiano, sezione di Milano, mi hanno mandato due grossi pacchi di indumenti di lana. Prima novità gentile di questa mattinata grigia di pioggia e raffiche.
1 NOVEMBRE
L’ingegnosità dei soldati italiani si rivela nelle trincee. Avere una candela in trincea è un privilegio, consentito soltanto agli ufficiali, e non sempre. Ma i bersaglieri hanno risolto, con la massima economia di mezzi e con la più grande semplicità di apparecchi, il problema della illuminazione serale. Le notti sono ora così lunghe! Si prende una scatola di carne in conserva vuota. Si versa dentro un po’ d’olio di scatola di sardine, insieme a un po’ di grasso liquefatto della scatoletta dí carne. Colle pezze da piedi, debitamente sfilacciate, si fa lo stoppino che si immerge nell’interno, mentre una delle sue estremità esce fuori da un buco praticato verso il fondo della scatola. Si accende e se lo stoppino è bene inzuppato, si ottiene una luce un pochino più scialba di quella di una lampada ad arco, ma sufficiente per leggere e scrivere una lettera. Provare per credere.
Benito Mussolini
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