Dal Corriere della Sera del 31 marzo
Breve storia della tridimensionalità delle «reti», dal pescatore sapiens del Pleistocene al fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg. C’è un sottile ma robusto fil rouge che in antropologia unisce l’evoluzione del concetto di rete. E il libro «Et_net, la rete delle reti» (Rubbettino, 108 pagine, io euro) dell’ex direttore generale della Rai, Lorenza Lei, ora presidente di Rai Pubblicità, lo srotola alla ricerca di un minimo comune denominatore. Oggi, quasi per difetto, siamo abituati a pensare a una delle più grandi invenzione dell’uomo, Internet, ogni volta che incrociamo il concetto di rete o, meglio, la sua evoluzione, la rete delle reti. Ma la struttura policentrica senza gerarchie, basata sull’alternanza geometrica di spazi vuoti imprigionati tra serie potenzialmente infinite di nodi, ha sempre fatto parte dell’uomo in verità, fin dalla sua discesa dagli alberi. La rete degli acquedotti dell’impero romano, quella stradale dei celti, le rotte dei vichinghi: è forse sbagliato concludere che nella storia il dominio sociale e culturale ha sempre trovato le sue basi nella capacità di sviluppare e imporre delle reti, nelle loro molteplici forme? Percorrendo a ritroso il cammino delle reti l’autore ricerca i temi ricorrenti che permettono di rispettare la «metafisica aristotelica» dove l’intero è maggiore della semplice somma dei singoli elementi che lo compongono. A partire dalla tridimensionalità: la stessa rete da pesca mostra la propria efficacia non distesa su due dimensioni sopra la banchina del porto, ma gettata in acqua e chiusa a sacco così da poter svolgere la sua funzione primaria, cioè imprigionare i malcapitati pesci. Ma è laddove lascia l’analisi teorica e passa agli esempi concreti legati anche al suo mondo professionale che Lei esprime l’originalità del libro affrontando uno dei temi cruciali della modernità: le reti veicolano solo il bene o anche il male? Prima dell’avvento delle tecnologie commerciali che permettono a chiunque di essere reporter di ciò che accade, i media come la Rai erano gli strumenti più potenti di comunicazione. Eppure quell’input era dominante e unidirezionale: insegnava ma sviliva anche, senza possibilità di contraddittorio. Deriva «dalla commedia italiana degli anni Settanta», rielabora l’autore, l’immagine della donnaoggetto.
«Questa donna incompleta, virtuale, è diventata, grazie a certa volgarità mediatica, troppo reale». Il male scorre insieme al bene senza soluzioni di continuità. Eppure, proprio nella rete delle reti per eccellenza, il Web, Lei intravede anche una capacità di affrancamento. «Non c’e piu fidelizzazione automatica nei confronti di un brand, di una linea di prodotto. Alla compulsione si offre la consapevolezza, la verifica sul ritorno che dà la rete. Una volta i consumi erano tradizionalmente uguali a se stessi. Se una marca riusciva ad imporre un prodotto si creava naturalmente un rapporto fiduciario. Continuativo. Oggi gli utenti acquisiscono competenza e trovano nella rete gli strumenti per acquistare senza riferirsi a schemi indotti dal messaggio pubblicitario». Dunque, la Rete (anche) come strumento di consapevolezza che distribuisce, cattura, processa, comunica. E che ripropone l’eterno manicheismo dell’uomo.
Massimo Sideri
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