Un Giorno di Questi, scritto da Marco Ciriello per Rubbettino Editore, è un affresco impressionista di racconti su Napoli e Roma tra gli anni Ottanta e Novanta che compone un quadro sarcastico e impietoso sulle assenze nell’Italia di oggi, a partire dalla verità.
“Uno di questi giorni è il titolo di una poesia di Salvatore Toma che adoro,” spiega l’autore. “È l’esclamazione del papà del protagonista del mio libro e significa che in uno dei diversi giorni descritti in ogni capitolo forse c’è verità, Napoli, forse ci sto io, forse la soluzione al caso di Giancarlo Siani e forse un sacco di bugie. È un gioco borgesiano: un giorno di questi esce la verità.”
Protagonista del romanzo è Francesco Palmieri, che nel periodo narrato è un giovane giornalista di cronaca nera coetaneo di Giancarlo Siani, assassinato dalla camorra il 23 settembre 1985 per le sue inchieste su appalti e finanziamenti illeciti. Era l’anno in cui Massimo Troisi usciva al cinema con un film meno intimista e lontano da Napoli, Non Ci Resta che Piangere, dopo il successo di Scusate il Ritardo, Pino Daniele dava un ultimo tributo alla sua migliore ispirazione con l’album Ferryboat ed Edoardo De Filippo era appena scomparso.
Un Giorno di Questi è il tentativo riuscito di raccontare una Napoli potentissima che adesso non c’è più, politicamente scorretta e oggi inimmaginabile, a partire dall’omicidio Siani e da una spiegazione paradossale sul motivo per cui il fumo uccide.
“Non c’era la prova del Dna, non esisteva, tanto che i killer di Giancarlo Siani lasciarono un tappeto di mozziconi di Merit lunghe,” è scritto nel primo capitolo del libro. “E quando Pironti pubblicò quel libro di memorie all’ex boss di Fuorigrotta – Cavalcanti – che comincia proprio dicendo: Non sono stati quelli condannati dalla Cassazione gli assassini, fate le prove del Dna su quelle cicche di sigarette dell’epoca, si aspettava il botto, la riapertura delle indagini, e invece non hanno riaperto un cazzo, non hanno voluto né fatto mai la prova su quelle sigarette, nemmeno adesso che si può, e probabilmente lì c’è la chiave alternativa alla verità giudiziaria: le sigarette accirono e le sigarette parlano, se uno domanda”.
Non si tratta comunque di un libro su Siani e in ogni racconto si restituisce la bellezza e la complessità di Napoli e dei napoletani in un periodo in cui la città violenta di Cutolo e Giuliano era comunque capace di attrarre personaggi come Andy Wharol o Franco Califano. “Oggi c’è una Napoli normalizzata che ha perso quella specificità ed è più difficile che produca arte. A Napoli c’era Maradona e oggi c’è un calcio evoluto che però non produce nulla,” osserva Ciriello.
Un Giorno di Questi è un libro molto particolare rispetto ai tuoi precedenti. Il gioco tra realtà e finzione è sempre presente ma il personaggio portante del romanzo, Francesco Palmieri, è una persona vera. Come si spiega questa tua scelta?
Francesco Palmieri è un mio amico che ha fatto veramente un’indagine su Giancarlo Siani ed è portatore di una verità diversa da quella ufficiale. Per questo forse è stato completamente cancellato. Diceva in continuazione che sarebbe voluto diventare un personaggio di un mio libro e così è stato. Lui è la coscienza narrante e anche il personaggio reale che a un certo punto viene veramente intervistato.
Come si spiegano le interviste a Marco Polo, Walt Disney e Pablo Escobar?
Nascono ispirate dal momento di crisi vera passato da Francesco quando rimase senza lavoro. Voleva fare tante cose ma non gli era possibile e allora le realizzava nel sogno. È la parte felliniana del libro ambientata nella Roma di fine anni Ottanta che stava morendo. Flaiano già non c’è più e Fellini senza più produttori era considerato un coglione.
Oggi c’è maggior accondiscendenza e il politicamente corretto ha portato meno spregiudicatezza e coraggio nella ricerca della verità?
Mi piace osservare che un tempo la cronaca nera la faceva Dino Buzzati e oggi Barbara D’Urso. Tra cercare le cose e inventarle preferisco questa seconda strada, ma stavolta ho fatto un lavoro vero su Francesco Palmieri e la Napoli di quegli anni. Ho avuto la fortuna di incontrare un uomo che è quasi diventato un personaggio di finzione. Pochi credono nella sua esistenza e me lo porterò alle presentazioni svelando che è un personaggio vero. Il paragone che si può fare è quello di Emmanuel Carrère con Limonov, avevo un testimone fortissimo che ha intercettato Napoli e fatto un’indagine su Siani fornendo un’altra verità sposata in pieno anche da alcuni boss.
Cosa ti ha mosso a scrivere questo libro?
Mi sono imbattuto nell’emeroteca che sta a Napoli e nel suo ossario. A un certo punto mi sono detto che siamo già tutti morti. C’è un’accusa precisa a una famiglia importante che gestiva tantissimi fondi sugli ex carcerati che lavoravano con le cooperative e il Comune e su questa cosa Giancarlo aveva scritto e stava indagando. È un omaggio a Siani che ho sempre visto come un ragazzo normale e chissà cosa voleva fare. I giornali sono peggiorati e questo ragazzo anche nella verità giudiziaria è rimasto sospeso, sta in un limbo.
Volevi che tutto ciò che stava attorno a lui venisse fuori?
Sì, descrivo un mondo dove tutto si tocca. Il guappo veramente poteva venire a picchiarti in redazione, ma se mostravi coraggio potevi essere risparmiato. Non si ammicca alla camorra ma si descrive la realtà. Il guappo è diverso dal mafioso siciliano perché la camorra aveva una radice come quella americana, voleva elevarsi. I Giuliano avevano quasi una volontà di ascesa monarchica, in Sicilia Totò Riina coltivava i pomodori.
L’ossessione del fumo è legata alla camorra?
Le associazioni mafiose hanno un radicamento nel territorio e il contrabbando di sigarette era la linfa che passava dal mare sui motoscafi e con una rete capillare finiva a ogni angolo dove c’era chi vendeva e chi faceva da vedetta. Al centro di tutto c’era il fumo e da qui il gioco del libro: dalle cicche non analizzate a tutti che fumano per poi arrivare alla vita di redazione che era completamente diversa. Oggi le redazioni sono semi deserte. Un tempo non c’era una sedia libera e tutti erano intenti a scrivere e a fumare. Sono posti che stanno morendo, si è smesso di andare in giro a fare l’interesse degli altri.
Magia e realtà si intrecciano e a fare da padrone nel tuo stile di narrazione ci sono l’amore per i dettagli e l’ironia. Perché?
Riprendo le parole di Pino Daniele con la notte che è la vera proprietaria di Napoli e se non avessi fatto così ne sarebbe venuta fuori una cosa retorica e malinconica. Ho giocato tutto sui dettagli come il passaggio dal sangue di Napoli alla forfora a Roma di Buttiglione.
Tra i vari racconti c’è quello del sosia di Maradona che mangia i Togo. In quanti ci hanno creduto?
La foto è proprio di Maradona e non del sosia come molti sono indotti a pensare. La mia cifra è questa e nel momento in cui anche solo per dieci secondi credi in ciò che scrivo, ho vinto. Il tipografo non esiste ma è credibile.
La stessa credibilità che hai cercato nelle tue interviste impossibili?
La maggiore parte dei libri italiani non sono credibili. Perché un bambino crede che si possa essere di legno, salvarsi a cavallo di un tonno, finire nel ventre di una balena o trasformarsi in un asino? Nella lingua di Collodi tutto è basato sulla credibilità. Per fare l’intervista a Marco Polo mi sono riletto tutto il Milione e poi ho utilizzato il suo italiano del 1200. Esiste una vera tradizione di interviste impossibili, da Giorgio Manganelli a Italo Calvino. La sfida è intercettare la mentalità e se ci riesci crei qualcosa di nuovo.
Chi sono gli uomini dispari a cui dedichi il libro?
Quelli che erano meravigliosi ma non si sono allacciati al loro tempo e quindi sono rimasti dispari senza una coppia, spaiati: Nunzio Gallo, Angelo Manna, Vittorio Mezzogiorno e perfino Giuseppe Marotta uno tra i più grandi scrittori italiani è rimasto sospeso. Tra i personaggi ho messo Nicola Pugliese che ha scritto il libro più bello su Napoli che si chiama Malacqua ed è stato di recente pubblicato in Inghilterra dove è stato giudicato il libro del 2017.
Hai conosciuto Nicola Pugliese?
Ho avuto la fortuna di diventare suo amico e devi immaginare che sia come Massimo Troisi.
A proposito di Massimo Troisi cosa rappresenta per te?
Tutti pensano che Troisi sia maggioranza a Napoli ma se vedi come la città viene rappresentata in tv c’è sempre una tendenza al folclore. Tutti dicono di amare Troisi ma in realtà il lavoro da lui fatto sullo stile napoletano, sul fatto che contasse di più l’elasticità di pensiero rispetto alla sguaiataggine, all’apparire, alla sfogliatella e al folclore si sta facendo un passo indietro enorme. Comici, musicisti e registi avallano un’anima che tradisce Troisi.
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