Da Tv Radiocorriere.it del 16 giugno
“Anime nere” asso pigliatutto dei David di Donatello 2015. Alla cerimonia di consegna degli “Oscar” del cinema italiano, che si è svolta il 12 giugno al teatro Olimpico di Roma, il film del regista Francesco Munzi, un viaggio nel cuore della ‘ndrangheta, nel buco nero della Calabria, ha fatto incetta di premi: miglior film, regia, sceneggiatura, produttore, autore della fotografia, musicista, canzone originale, montatore e fonico di presa diretta. Ben nove statuette, così tante che lo stesso Munzi non tiene il conto quando, ancora sul palco a pochi minuti dalla proclamazione, lo sequestriamo ai flash dei fotografi per un’intervista a caldo.
Si aspettava un risultato così debordante?
Sinceramente no. “Anime nere” è stato molto amato da quando è uscito nelle sale, ma ero in compagnia di film così belli che per questa dura “battaglia” ho dovuto assumere un atteggiamento quasi zen.
Il film ha avuto un crescendo notevole dopo la presentazione al festival di Venezia.
Direi sorprendente. È stato distribuito in almeno venticinque Paesi fuori dall’Italia.
E ha avuto successo anche in America, che non è un approdo così naturale per i film italiani…
È stato un privilegio e il film negli Usa è diventato un caso: è conquistato una pagina sul New York Times e una sul Los Angeles Times.
Com’è nata l’idea di questa pellicola?
Mi stavo occupando di un altro progetto quando mi sono imbattuto nel libro di Gioacchino Criaco e sono rimasto molto colpito dal modo in cui affrontava una materia che conoscevo solo tramite le notizie dei giornali.
Si parla di n’drangheta. Lei l’ha raccontata senza nominarla. Perché?
Mi sono voluto soffermare sui personaggi e sulle loro emozioni. La ‘ndrangheta ovviamente c’era, ma era un contenitore, un mezzo che mi aiutava a parlare di altro: di famiglia, di rapporti tra fratelli, padri e figli, di valori da difendere o meno. La ‘ndrangheta in qualche modo rimane sullo sfondo.
Il libro è ambientato negli anni Settanta, ma lei ha scelto di portare la vicenda ai giorni nostri. Come mai?
Il libro di Criaco aveva giustamente lo sguardo proiettato su quel periodo, ma io nutrivo il desiderio di parlare di oggi, quindi ho conservato lo spirito del libro attualizzandolo. Quando si trattano temi legati alla criminalità, anche nel cinema, sono frequenti i collegamenti con la politica. Nel suo non sono così evidenti, quantomeno esplicitamente. Qualche riferimento c’è, ma a me non piace affrontare grandi temi o specifiche connessioni direttamente. Preferisco che siano evocati, poi se lo spettatore vuole coglierli ben venga! A conclusione dell’intervista Munzi tiene a ricordare anche a noi, come ha fatto sul palco, il co-sceneggiatore del film Fabrizio Ruggirello scomparso nel dicembre scorso: «Senza di lui il film sarebbe stato molto più povero».
Di Stefano Corradino
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