L’accattivante romanzo della prof.ssa Giovanna Miceli Jeffries può essere letto su più piani. Un primo è dato dalla evoluzione biografica di Giovanna (mai indicata nel suo nome, ma solo come Gio’), che si snoda dal suo rapporto con la bisnonna, Francisca, a quella della crescita nella scuola e ai suoi vari percorsi di emigrazione. Un secondo piano riguarda invece la storia emigrativa della sua famiglia a cominciare dalla figura della madre per poi accompagnarsi a quella del padre e sorella. Un terzo piano invece riguarda più sociologicamente le condizioni che portano alla scelta della migrazione, le condizioni che una famiglia, che ha emigrato, affronta nel nuovo ambiente sociale e lavorativo del paese ospitante.
In tutto il romanzo, tuttavia, emerge l’importanza della donna nella vita familiare e sociale. Le donne qui proposte sono coraggiose, decisioniste, sono capaci di assumersi forti responsabilità. Lo è la nonna di Giovanna che nei momenti più delicati e significativi è capace di imporsi e far prendere decisioni anche sofferte. Così interviene per convincere la figlia, madre di Giovanna, a ricorrere all’aborto pur di non essere messa in situazione di derisione presso la comunità in cui la famiglia vive. Avere una gravidanza con figlie ormai più che adolescenti in una società retriva come quella siciliana di quel tempo poteva significare scandalo e incomprensione. Giovanna manifesta tutto il suo disappunto per quanto sta vivendo la madre e nel momento in cui quest’ultima decide di ricorrere all’aborto anche lei sente quasi un sollievo.
Più significativa è la figura della madre di Giovanna che, in funzione di una vita più elevata per le proprie figlie, sceglie di poterle far studiare anche a costo di indebitarsi e di privarsi di parte dei suoi possedimenti. Come diventa significativa la scelta di andare in Venezuela per riportare al proprio paese suo marito che forse rischiava di non ritornare più. Ed è ancora determinante l’appoggio che fa alla figlia perché continui gli studi all’Università negli Stati Uniti e possa avere prospettive di vita migliore. Se poi questa è la giustificazione per indurre il marito a non ostacolare le scelte della figlia, tuttavia è da pensare che questa madre comprende che appoggiare le inclinazioni di una persona vuol spesso dire creare i presupposti della sua felicità. L’altra figura femminile rilevante è Giovanna stessa. Le sue scelte come donna sono sempre molto coraggiose e tese a sviluppare le proprie inclinazioni. Affronta qualunque sacrificio pur di non soccombere agli ostacoli che le si frappongono e impedirle il soddisfacimento dei propri obiettivi
Le figure maschili sono per lo più scialbe. È così quella del nonno, ma specialmente quella del padre, spesso chiuso all’interno della cultura d’appartenenza e incapace di prendere decisioni che possano andare oltre. È solo la pressione della moglie che lo costringe a dare il suo assenso a decisioni che lui non condividerebbe, legato alle consuetudini del paese d’origine e siciliane.
Sottotono è anche la figura maschile del fidanzato prima e poi marito di Giovanna. Di lui si descrive essenzialmente la crisi da panico avuta a causa del matrimonio e della vicinanza di tante persone, così come avviene in un matrimonio.
La lettura sociologica del perché della migrazione e della vita di emigrati nel paese ospitante può assumere una certa importanza in quanto ci fa presente la causa della migrazione e l’effetto della stessa. Si evince dapprima che la famiglia del padre della protagonista aveva una solida posizione sociale. Il nonno del padre e bisnonno di Giovanna era denominato il, mafioso per il rispetto che godeva nella comunità. La sua condizione economica era di tutto rispetto. Ma progressivamente questa agiatezza viene meno. Il padre di Giovanna, un macellaio, è necessitato alla migrazione non trovando possibilità di lavoro nel proprio ambiente. È il preludio del fatto che quando avverrà una nuova crisi economica, dopo il ritorno dal Venezuela e l’impossibilità di ricavare utili sufficienti da una macelleria aperta nel proprio paese e chiusa per disastro economico, l’unica possibilità che padre e madre individuano è ancora l’emigrazione, ma questa volta in Canada, ove erano presenti loro parenti. La migrazione, sembra voler suggerire la protagonista narratrice, è una necessità economica quando non si intravede più la possibilità di una continuità di esistenza e di dignità nel territorio di appartenenza.
La destinazione della migrazione comporta sofferenze, incomprensioni, ma anche diffidenze nella comunità ospitante. È pur vero che la comunità dei paesani presenti nel paese di destinazione risulta una valvola di salvezza, nel senso che si ritrovano appoggi, ma anche modi di fare propri della comunità d’origine. È una sorta di riterritorializzazione, ( o per dirla con Appadurai di deterritorrializzazione) ove si ripropongono modi culturali d’essere del paese d’origine. L’ulteriore trasferimento dal Canada agli Stati Uniti ripropone quasi gli stessi problemi avuti in Canada senza questa volta l’appoggio della comunità del proprio paese.
La protagonista, narratrice mette però in evidenza come questa scelta emigrativa cioè di essersi trasferiti negli Stati Uniti, intanto risponde alle dicerie fantastiche che si dicevano di questo paese e poi è la nazione ove lei ha la reale possibilità di continuare negli studi, di dar luogo ai suoi obiettivi, pur avendo ormai non più una età giovanissima. È il paese in cui trova la persona da amare e intraprendere anche i suoi successi professionali. Con tutta probabilità senza l’emigrazione la vita di Giovanna si sarebbe risolta nell’attività didattica di maestra senza ulteriore prospettiva.
Da questo punto di vista pur con le grandi difficoltà e i disagi incontrati, la migrazione può diventare un fatto positivo perché senza il laccio di una cultura che costringerebbe a comportamenti accettabili, l’individuo può dare spazio alle proprie esigenze, ai propri sogni. La migrazione spesso può significare una rinascita e non è un caso che i migranti favoleggiano sui territori ove pensano di poter approdare. La migrazione è anche apprendimento della lingua del paese ospitante. Nel migrante si apre un bivio, a volte inconsapevole, a volte voluto. C’è infatti chi pur rimanendo in un nuovo territorio anche per anni, non riesce, , ad impadronirsi della nuova lingua, o non vuole, e chi invece si immerge nel tessuto sociale del paese ospitante e ne acquisisce la lingua in misura straordinaria. Questo percorso, come afferma Tahar Lamri, è la scelta della propria libertà perché il mantenersi caparbiamente nella lingua prima, diventa un incatenarsi e vincolarsi. Il percorso della narratrice, negli ultimi capitoli, fa emergere come il possesso della lingua del paese ospitante è l’ancora di salvezza del proprio io, è la strada che porta alla propria realizzazione.