Il Pnrr non è un maxi-ristoro per i paesi colpiti dal Covid. È lo strumento operativo per realizzare il Next Generation EU. Modifiche sono possibili, ma all’interno di una cornice che rafforzi l’Europa. Solo così si possono affrontare le grandi sfide.
Tappe rispettate
Il 30 dicembre 2022 il governo italiano ha comunicato di aver raggiunto i 55 traguardi-obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza per il secondo semestre 2022 e ha inviato alla Commissione Ue la richiesta di pagamento della terza rata da 21.839.080.460 euro. L’Italia ha quindi rispettato sinora tutte le scadenze semestrali previste dal Pnrr (questa è la terza). Adesso, però, si entra nella fase più difficile. Se gli obiettivi del primo anno (2021) del Piano erano soprattutto le riforme e quelli del 2022 la pubblicazione di avvisi e gare, il 2023 è l’anno di apertura dei cantieri e si capirà se l’Italia sarà in grado di completare tutto entro il 2026. I tempi serrati e le conseguenze della guerra hanno messo al centro del dibattito pubblico nazionale ed europeo, da diversi mesi ormai, l’ipotesi della revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Cosa accade in Europa
A settembre 2022 il Portogallo ha formalmente proposto di allungare oltre il 2026 i termini della spesa (ma non la tabella di marcia delle riforme) del suo Recovery and Resilience Facility, a causa dell’alta inflazione generata dalla crisi energetica. Nella nota inviata alla Commissione europea (che finora non ha avuto alcuna risposta ufficiale) il governo di Lisbona sostiene infatti che attuare tutti gli investimenti previsti dai rispettivi Piani comporta, per gli stati, costi troppo elevati e, considerando anche la corsa alle materie prime innescata dalla necessità di rispettare i tempi, si rischia di alimentare ulteriormente la spirale dei prezzi.
A novembre il Lussemburgo ha presentato una proposta di revisione approvata dalla Commissione, ai sensi dell’articolo 18 comma 2 del regolamento Ue 2021/241, che prevede una riduzione (il Piano è passato da 93,4 a 82,7 milioni di euro) del contributo finanziario massimo in seguito all’aggiornamento dei dati del Pil 2021 (cresciuto più del previsto) e all’eliminazione di un investimento, il “Digital Skills”, che riguardava un insieme di corsi e-learning sulle competenze digitali per dipendenti collocati in regimi di lavoro ridotto tra gennaio e marzo 2021.
Il 9 dicembre 2022 anche la Germania ha presentato alla Commissione una modifica del suo Pnrr, chiedendo di intervenire su due misure: posticipare la data per il completamento di uno dei sette progetti di digitalizzazione delle ferrovie, a causa di ritardi eccezionali dovuti alla guerra; modificare un programma speciale per la ricerca e lo sviluppo di vaccini contro Sars-Cov-2, poiché due partecipanti su tre hanno abbandonato il progetto. La Commissione, il 19 gennaio 2023, ha dato il via libera alla revisione del Piano, poiché “circostanze oggettive rendono non più raggiungibili tappe o obiettivi specifici”, ma il Piano tedesco modificato soddisfa ancora gli undici criteri di valutazione del regolamento. Successivamente, sarà il Consiglio ad approvare il nuovo Piano.
Ben prima del voto del 25 settembre, proprio su queste colonne abbiamo sostenuto la tesi della difficoltà del cambio del Pnrr e i rischi che ciò potrebbe comportare per il nostro paese. Oggi tutti sembrano esserne consapevoli, rimane tuttavia la necessità di tenere conto del nuovo contesto all’interno del quale il Piano deve essere attuato: economia di inflazione e di guerra.
A cosa serve il Pnrr
È tuttavia importante ricordare che il Pnrr non è una sorta di maxi-ristoro per i paesi colpiti dalla pandemia da Covid-19, ma è lo strumento operativo con cui realizzare (tramite risorse da spendere e riforme da attuare) l’iniziativa europea del Next Generation EU. Aiutando gli stati a prepararsi alle sfide del futuro, principalmente quella digitale (per almeno il 37 per cento del Piano) e ambientale (per almeno il 20 per cento).
Per quanto concerne l’Italia, che assorbe quasi il 25 per cento di tutto il Next Generation EU, il Piano serve anche a risolvere i limiti strutturali del paese in termini di ammodernamento di strutture e procedure, omogeneizzazione delle politiche pubbliche e apertura dei mercati, aspetti che la Commissione ci ricorda nelle annuali “raccomandazioni” specifiche.
Gli strumenti con cui intervenire, le ipotesi alternative
Pertanto, una revisione del Pnrr, pensato per riforme strutturali, non appare lo strumento più appropriato di fronte a una crisi congiunturale. Per affrontare le conseguenze della crescita dei prezzi e la crisi energetica ci sono altri strumenti da affiancare al Piano.
- Come per il Lussemburgo e la Germania, rimanendo all’interno del Pnrr, si possono modificare singoli investimenti: ad esempio quelli energetici, perché in questo settore lo scenario si è modificato profondamente dal 2021. Deve trattarsi però di una “ritaratura” che non intervenga tuttavia sull’impostazione del Piano. Recentemente anche il Commissario Paolo Gentiloni ha comunicato che tra gennaio e marzo sarà possibile emendare i Piani nazionali, ma con due punti fermi: le modifiche dovranno essere giustificate e riferite ai soli investimenti.
- In secondo luogo, con tempi brevi di esecuzione, vi è la possibilità di “usare” il Fondo Complementare che l’Italia ha istituito accanto alle risorse del NG-EU: circa 30 miliardi di euro, che potrebbe essere riprogrammati – totalmente o in parte – per le nuove esigenze.
- Terza ipotesi, con tempi medi di realizzazione, la definizione di un “NG-EU 2”, di cui tra l’altro si discute già, che, con gli stessi vincoli, procedure, filosofia e funzionamento, sia calibrato esclusivamente su due settori oggi centrali: industria pesante ed energia. Peraltro, sul tema dell’energia, la Commissione Europea ha presentato il Piano RePowerEU, per rendere l’Unione indipendente dai combustibili fossili russi (gas, petrolio e carbone) entro il 2030.
- Graduata su un arco temporale più lungo, vi è poi la revisione del Patto di stabilità e crescita, sospeso fino a fine 2023. Per l’Italia l’ipotesi sarebbe più funzionale nelle crisi congiunturali. A novembre la Commissione ha presentato una proposta base che prende atto che la riduzione del debito non può avvenire a scapito della crescita e degli investimenti, lasciando aperto lo spazio per una negoziazione.
Sono quattro percorsi che, in maniera complementare, consentono di intervenire nel contesto nazionale, ma all’interno di una cornice di rafforzamento dell’Europa, necessaria per le grandi sfide. Salvaguardando non soltanto il nostro Piano da 191,5 miliardi garantiti dall’Ue, ma cercando di alzare il livello del negoziato sul Patto di stabilità e crescita per riuscire a ottenere un ambizioso bilancio pubblico europeo, in grado di replicare periodicamente iniziative importanti come il Next Generation EU.