Dott.ssa Marisa Fumagalli, Lei è autrice del libro Mio padre è un prete. Storie e segreti tra conventi e sacrestie edito da Rubbettino: quanto è diffuso il fenomeno dei figli di preti e monache?
In alcuni casi i figli sono persino il frutto di violenze sessuali consumate all’ombra dei chiostri: quale comportamento adottano, in tal caso, le vittime e chi si occupa dei figli?
Purtroppo gli episodi di violenze sessuali esistono. Avvengono sia nell’ambito ecclesiastico tout court (i sacerdoti nei confronti delle monache), sia in situazioni diverse: sacerdoti che approfittano delle donne con cui hanno abitualmente a che fare: perpetue, parrocchiane collaboratrici, eccetera. Inoltre, vanno considerate le monache insidiate e violentate da laici. Come la madre/monaca di “Francesca, l’ostinata di Dio” (un capitolo del libro), costretta ad avere rapporti con un nobiluomo dell’aristocrazia romano-papalina. La vicenda dello stupro risale agli anni Trenta del ‘900, e successivamente ha fatto scalpore per le tenaci (e vane) ricerche della genitrice portate avanti da Francesca, che, senza remore, si è esposta pubblicamente. Di sicuro, questa donna non ha avuto problemi economici Anzi. In assoluta segretezza, il potente padre e poi gli eredi hanno provveduto a lungo al suo mantenimento. Un’altra figlia del peccato è Teresa, adottata in fasce. In età adulta, è stata lei stessa a scoprire, dopo tante ricerche e peripezie, chi era e dove si trovava la madre naturale. Teresa fu generata in un convento di suore, partorita in ospedale e abbandonata al brefotrofio. Ha studiato fino alla laurea (nel frattempo si era staccata dalla famiglia adottiva), trovando poi la sua strada. Rimane, però, il mistero del padre. Secondo le reticenti ammissioni della madre-suora, le insidie sarebbero avvenute da parte di un operaio che, per motivi di lavoro, prese a frequentare la casa conventuale. Ma Teresa è scettica. Da alcuni indizi raccolti, crede piuttosto che la paternità sia riconducibile a un religioso. Ipotesi che non ha trovato conferme. La casistica riportata nelle pagine del libro è varia, e propone situazioni diverse. Di sicuro, il capitolo più forte è quello intitolato “Stupro in canonica, la storia di Erik”. Fatti agghiaccianti raccontati con dovizia di particolari da Erik Zattoni, oggi quarantenne con moglie e figli. Sua madre fu violentata dal parroco del paese – piccolo centro nei pressi dei Lidi Ferraresi – all’età di quattordici anni. Ma il sacerdote ha sempre negato di essere il padre di Erik. Fino a che lo stesso figlio, ormai adulto, riuscì a smascherarlo ricorrendo alle vie legali e inchiodandolo al test del Dna. (Per inciso, tale prova fino a una sentenza della Cassazione del 2006, era difficile da pretendere). A quel punto il castello di negazioni è crollato. “Ma il don rimase prete fino alla morte – mi ha confidato Erik durante il colloquio avvenuto nella sua casa, a Lagosanto (Ferrara) – Ho fatto l’impossibile affinché quel sacerdote fosse ridotto allo stato laicale. Non ci sono riuscito”. Questo caso evidenzia come a chiedere giustizia sia stato il figlio e non la madre, vittima dello stupro. Non è facile, del resto, per le vittime reagire, affrontando percorsi tortuosi, esponendosi a contraccolpi mediatici; in definitiva, aggiungendo dolore a dolore. Talvolta succede. Ma la prassi è che la madre, umiliata e offesa, non abbia la volontà e soprattutto la forza di esporsi, mentre si trova a dover provvedere in solitudine alla crescita e all’educazione del bimbo. Sopportando anche il peso economico. A meno che il padre “occulto” non si degni di intervenire con qualche contributo. Va precisato – come si è detto sopra – che le gerarchie ecclesiastiche in alcune situazioni, con discrezione, assicurano un aiuto. Comunque sia, tutto è difficile e penoso.
Quale dramma interiore vivono questi «figli della colpa»?
Il dramma interiore dei “figli della colpa” è un macigno che si abbatte su di loro. Non sempre, per fortuna. Ma spesso. Per cominciare, è la scoperta dell’origine a traumatizzarli. In verità, i figli di preti spretati che hanno formato una regolare famiglia generalmente riescono a farsene una ragione. Molto dipende dall’approccio dei genitori nei loro confronti. Da come vengono informati fra le mura domestiche. Va molto peggio invece per la prole delle ragazze-madri sedotte e abbandonate. Non da un uomo qualsiasi ma da un sacerdote in carica. È davvero complicato raccontare a un figlio che il padre è un ministro di Dio. Spiegare rapporti amorosi complicati, quando non vere e proprie violenze. Insomma, è faticoso per le madri trovare il coraggio di entrare in argomento. La scoperta tardiva, perfino casuale, magari indotta da avvenimenti gravi (si veda il caso di una madre che alla vigilia di un intervento chirurgico importante e rischioso si decide a rivelare al figlio il segreto della sua nascita), da situazioni ormai insostenibili. Da qui lo sconcerto del figlio. Le reazioni peggiori portano a depressioni, sbandamenti esistenziali, disturbi della personalità. Inoltre, non va sottovalutato l’aspetto pubblico della vicenda umana privata. Soprattutto in età delicata come l’adolescenza. I compagni di scuola scherniscono “il figlio del prete”, lo apostrofano, lo emarginano. Con prevedibili conseguenze psicologiche. Michael Rezendes, giornalista del “The Boston Globe”, che ha condotto una corposa inchiesta sull’argomento (2018), osserva: “Qualcuno accoglie la rivelazione sul padre fino al quel momento ignoto come una liberazione, dopo anni di dubbi e di domande. Altri restano sconvolti e provano un senso di disillusione e di abbandono che può segnarli per tutta la vita: rapporti che si spezzano, dipendenza dalle droghe, pensieri suicidi. Molti perdono la fede nella Chiesa”
Il fenomeno da Lei indagato chiama in causa il celibato imposto ai sacerdoti cattolici: è pensabile, a Suo avviso, una riforma nella Chiesa?
Al riguardo, mi permetto di citare un estratto della Premessa, in apertura del mio primo libro (“Le donne dei preti” 1996), laddove scrivevo: “La legge del celibato obbligatorio (sancito dalla Chiesa) è vissuta sempre di più come un peso, dal quale forse ci si potrebbe liberare. Poiché – e sono in molti a sostenerlo anche tra i teologi – è possibile essere contemporaneamente buoni sacerdoti e buoni mariti. E padri di famiglia. Il dibattito è aperto. Si vedrà se avranno ragione coloro che profetizzano la caduta, tra dieci/vent’anni (magari con il prossimo Papa) del vincolo celibatario; o coloro che ritengono che la Chiesa Cattolica Romana non tornerà sui suoi passa”. Da allora sono passati venticinque anni e, a quanto si vede, avevano ragione i pessimisti. La legge del celibato resiste. Fino a quando? Certo, alcuni sintomi di apertura si notano. Anche se, al momento, l’attenzione delle gerarchie ecclesiastiche sembra più rivolta alla possibilità di ordinare sacerdoti uomini già sposati di provata fede per celebrare messe in quelle zone rimaste senza parroci. Ciò detto, “Vocatio” (Associazione di preti sposati fondata nel 1978) torna periodicamente alla carica, facendo presente, tra l’altro, che sono numerosi gli spretati, la cui fede non è venuta meno, che vorrebbero essere reintegrati nella gestione delle parrocchie. Chiudo con le parole di Ernesto Miragoli (sacerdote sposato), autore della prefazione del libro: “Il concetto spirituale di celibato/verginità, preso in sé, è un valore che, unito agli altri valori che la Chiesa cattolica preferisce chiamare ‘voti’ (povertà e obbedienza), indica un percorso di ascesa interiore… I valori devono essere abbracciati liberamente, vissuti sempre liberamente e gioiosamente. Se diventano un peso o, peggio, sono occasione di scandalo, perdono la loro essenziale valenza testimoniale; e coprire lo scandalo per continuare ad affermare il valore merita il rimprovero di Cristo che, senza troppi eufemismi, si rivolgeva ai gerarchi del suo tempo ricordando che non s’impongono sulle spalle della gente fardelli che non ci si degna di toccare nemmeno con un dito (Matteo 23,1 ss)”.
Il libro narra anche le storie di figli che hanno superato il trauma, rivendicando la verità e i loro diritti: come si snoda la loro vicenda?
Di Erik Zattoni, la cui madre fu stuprata dal parroco, ho già detto. Mi riferisco ancora a lui per sottolineare come questo figlio, protagonista di una vicenda tanto drammatica, è sicuramente un esempio “positivo”. Erik, sostenuto da uno zio che lo ha preso per mano, compreso dalla fidanzata/moglie, e perfino aiutato dall’indifferenza della gente del suo piccolo paese che sapeva ma taceva (pur dando implicita copertura al sacerdote), ha superato il trauma. A tal punto da sfidare in prima persona le gerarchie ecclesiastiche. Vero è che nel libro non mancano altri esempi e racconti di coloro che non si sono lasciati travolgere da quello che avrebbe potuto diventare un dramma esistenziale. Di più: l’ultimo capitolo (“Un parroco per papà? Noi siamo orgogliosi”) riporta le testimonianze di due giovani palermitani, figli di sacerdoti sposati, che non solo conducono una vita serena ma stanno decisamente dalla parte dei loro padri, già parroci e poi mariti, con orgoglioso rispetto. E gioia.