Trento. Quando Sara è nata, l’infermiera l’ha presa e le ha contato le dita. «Sono venti, è sana». Nessuno pensò, allora, che a volte le malattie possono essere invisibili.
È dura ascoltare Davide Faraone, 44 anni, siciliano, quando racconta la sua storia. «Due anni dopo un medico mi ha detto la parola “autismo”, e io ho continuato a ripeterla tra me e me, “autismo-autismo” per auto-convincermi che era tutto vero». Sta tutto scritto nel libro, “Con gli occhi di Sara” (Rubettino, 132 pagine) il cui ricavato andrà in beneficienza.
Faraone, diciamolo subito, è stato sottosegretario al ministero dell’istruzione e oggi è capogruppo al Senato di Italia Viva, il partito di Matteo Renzi. A palazzo Geremia lo ha portato, due sere fa, la senatrice trentina Donatella Conzatti che il libro se lo è letto tutto d’un fiato, prima di Natale, sulla Freccia che la portava da Roma a Rovereto: «Mi ha commosso».
Palazzo Geremia è sede del municipio e la sala è piena di politici. Ci sono i consiglieri Roberta Calza, Paolo Castelli, Andrea Robol. Si vedono Nicola Azzariti, rappresentante degli studenti alla facoltà di legge, e un gruppetto di giovani dem. In fondo sbuca pure Franco Ianeselli, ex segretario della Cgil, candidato sindaco per il centrosinistra. Ma sbaglierebbe chi lo ritenesse un evento di parte. «Su questo argomento non ci sono colori» spiega Salvatore Panetta, presidente del consiglio comunale.
«In Italia abbiamo leggi d’avanguardia, ma sulla prassi c’è ancora tanto da fare», esordisce Faraone. «Abbiamo chiuso i manicomi e le classi speciali» ma gli autistici «sono ancora esclusi dalla società». Il senatore parla per più di un’ora. Dice che con un autistico è difficile persino andare in pizzeria, perché non sopportano i rumori. Spiega che pure chiedere loro «Come ti chiami?» può essere duro come una battaglia. Racconta dei genitori che vogliono vedere i figli bocciati perché la scuola, nonostante tutto, è un ambiente ovattato. Dei molti politici che sono attentissimi quando si parla di liste e collegi, ma poi spariscono appena si accenna a questi temi. Di alcuni preti che rifiutano la comunione agli autistici, perché inconsapevoli, «come se noi al momento del battesimo fossimo consapevoli, e poi, se c’è qualcuno senza peccato, sono proprio gli autistici» (Faraone, per inciso, è molto cattolico e dice «Per me è stata una grandissima emozione portare Sara all’altare vestita di bianco il giorno della sua prima comunione, visto che non potrò farlo al suo matrimonio»). La storia più toccante è quella di Calogero Crapanzano, maestro in pensione di Palermo che, esasperato, nel 2007 ha strangolato il figlio autistico di 27 anni. E a Faraone, andato a trovarlo in carcere, ha confidato: «L’ho liberato» (l’allora presidente della Repubblica Napolitano concesse poi la grazia). «Quasi nessuno agisce con cattiveria, ma gli autistici e le loro famiglie vivono in una bolla» commenta Faraone. Una bolla dovuta a ignoranza, indifferenza. Chissà, forse solo a imbarazzo.
Ad ascoltarlo, in silenzio, sono arrivate una novantina di persone. Ci sono Giovanni Coletti, presidente della fondazione trentina sull’autismo, Kathy Podestà di Ama, Luciano Enderle di Anfass, l’associazione delle famiglie con disabili. A lato della sala, una signora in carrozzella. Seduti in fondo, due non vedenti, marito e moglie. Tanti sono genitori o parenti di un malato, in molti si riconoscono, si sentono una piccola comunità. «I genitori di ragazzi autistici, fra loro, è come fossero colleghi», dice Faraone. Molti raccontano le loro esperienze, storie di persone normali diventate eroi loro malgrado. E sembra che, nella lotta quotidiana per assistere i loro cari, si siano un po’ consumati. Finisce con un signore coi capelli bianchi, padre di due figlie autistiche. Un discorso toccante, sulla dignità. Poi, per concludere, lascia inquieti: «Mi dicono che sono pazzo. Eppure se non ci sarà nessuno a prendersi cura di loro, quando non ci sarò più io, preferisco farle fuori». Un po’ come quel maestro in Sicilia poi graziato da Napolitano. Tutti sperano stia esagerando. Lui non fa una piega: «Io ve lo dico. Lo faccio. Magari, fra qualche anno, ve lo trovate sul giornale».
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