L’autore del Capitale ebbe per tutta la vita problemi di soldi. Incapace nella gestione, inaffidabile nelle spese, dovette andare avanti a forza di prestiti e debiti, per lo più saldati dall’amico Engels. Il libro di De Ianni (Rubbettino), una sorta di biografia finanziaria del pensatore comunista, mette in mostra tutte le sue difficoltà provocate da un rapporto sbadato con denaro
«Devi cercare di scovare del denaro per me». «In casa non ho, letteralmente, neanche un soldo». «Ho ricevuto proprio in questo momento il terzo e ultimo avviso di quel porco dell’esattore» «Se ti è possibile, mandami qualche sterlina lunedì». Il rapporto tra Karl Marx e il denaro fu complesso, difficile e doloroso. Nonostante avesse consacrato la sua esistenza allo studio dell’Economia e all’elaborazione di una teoria dei rapporti economici, sul piano pratico era del tutto incapace. Non sapeva gestire le spese, non pianificava e si arrendeva troppo spesso (anzi, quasi sempre) alla trappola del debito, forse anche aiutato dalla consapevolezza che l’amico Friederich Engels alla fine avrebbe saldato per lui. «Mi hai vittoriosamente strappato dalle grinfie del fisco», gli scrisse nel 1857.
Che uno dei maggiori studiosi del capitale avesse problemi con il capitale stesso era un paradosso che non gli sfuggiva. «Non credo che nessuno mai abbia scritto sul denaro con una tale mancanza di denaro. La maggior parte degli autori erano in pace assoluta con l’argomento delle loro ricerche». Lui no. Il libro di Nicola De Ianni si intitola appunto “Marx e il denaro” (Rubbettino), ed è una biografia finanziaria del filosofo tedesco. Con cura certosina studia, lettera dopo lettera, le traversie economiche di Marx. Non ci sono pagine in cui non si incontrino le parole “cambiali”, o “difficoltà”, o “credito”, “impegno”, “debito”, “prestito”.
L’organizzazione contabile «era approssimativa e contraddittoria» fin dai tempi della gioventù. In molte lettere i genitori di Marx, che lo spesavano, si dicevano preoccupati dalla sua leggerezza eccessiva. A Bonn si dedicava a bevute, duelli e divertimenti. A Berlino, anziché dedicarsi agli studi giuridici preferiva la filosofia e, soprattutto, organizzava il suo fidanzamento con Jenny von Westphalen. Fu per ragioni di soldi che il matrimonio fu rinviato di diversi anni (si sposarono quando lei aveva 29 anni, un’età molto tarda per l’epoca), fu sempre per soldi che ruppe i rapporti con la madre, molto più fredda e distaccata del padre, e con la famiglia. Sempre per soldi avvelenò la relazione con il fratellastro della moglie e sempre per soldi scelse di viaggiare su e giù per l’Europa alla ricerca di compensi più o meno stabili (meno, in realtà), collaborando o dirigendo pubblicazioni destinate a successi effimeri.
I denari, quando arrivavano, scomparivano subito. O andavano nelle piccole spese, o coprivano vecchi debiti (cresciuti spesso con tassi usurari) o, nel caso dell’eredità paterna, nell’acquisto di armi per i compagni (cosa che provocherà la sua espulsione da Bruxelles). La sventatezza economica non aveva limiti e caratterizzò la miseria e il disagio di gran parte della sua esistenza e di quella della famiglia. Gli anni peggiori, spiega il libro di De Ianni, sono il ventennio londinese dal 1849 al 1869, l’epoca in cui scrisse “Il Capitale” ma anche quella in cui fu costretto a cambiare casa più volte per sfratto, a indebitarsi di continuo e a escogitare soluzioni al limite. Nel 1853, per esempio, si servì della cassa dei profughi per ripianare le sue finanze. E non c’è lettera di quegli anni in cui non si lamenti della sua situazione finanziaria e non provi a chiedere qualche soldo.
Non gli servivano cifre esorbitanti. Il suo stile di vita era semplice, a volte rasentava la miseria tanto che il disordine e la sporcizia in cui viveva con la famiglia erano finiti perfino nel rapporto di un agente incaricato di spiarlo. Ma Marx difettava di quella che oggi definiremmo buona educazione finanziaria. Spendeva, pagava e poi chiedeva prestiti per coprire spese già fatte o debiti già contratti. Per sua fortuna Engels lavorava anche per lui e, grazie alle connessioni e al patrimonio familiare, riuscì a mettere a frutto i suoi guadagni e diventare un rentier, anche per la famiglia Marx.
Nonostante la tranquillità che gli garantì Engels negli ultimi 15 anni della sua vita, Marx non corresse mai le sue abitudini. Lo stesso amico e collaboratore aveva cercato di convincerlo a evitare di contrarre debiti (ma quando si è abituati, è difficile scegliere la virtù del risparmio), a essere più responsabile, ad avere un atteggiamento dialettico con il denaro. Cioè rapportarlo alle possibilità. Ma per il filosofo venivano prima i bisogni, e poi le spese. Insomma, Marx non sarebbe stato mai un capitalista per convinzione. E vista la sua natura, nemmeno un bravo risparmiatore.