Da Il Mattino del 12 aprile
Di Mezzogiorno si parla tanto, ma sul Mezzogiorno si dimentica troppo spesso cosa si è già detto. E si rimuovono personaggi, luoghi di confronto, vicende. Come rischia di accadere per la rivista «il Saggiatore», pubblicata per soli 6 mesi, ma che fu palestra di proposte e idee, casa di intellettuali antifascisti che denunciavano i pericoli di quel regime sullo spirito critico, la libertà di idee e le proposte politiche.
Fu 90 anni fa, ne11924, che Gherardo Marone, reduce dall’esperienza della rivista di poesia «La Diana», decise il salto giornalistico nell’impegno politico e sociale. Con il padre Benedetto, Marone era nel Vallo di Diano riferimento per Giovanni Amendola, per le idee crociane, per chi sentiva puzzo di bruciato in quell’Italia che considerava il Mezzogiorno e la sua questione ormai superata d alla politica fascista.
I Marone si strinsero attorno ad Amendola. Ne appoggiarono l’esperimento dell’Unione nazionale, la sua scelta dell’Aventino. In sei mesi, attorno alla rivista ruotarono nomi come Gustavo Ingrosso, Vmcenzo Arangio Ruiz, Roberto Bracco, Carlo Cassola, Guido De Ruggiero, GiovanniNapolitano, Stefano Macchiaroli, Mario Grieco. Rivista d’opposizione nei mesi della prima aggressione ad Amendola, del delitto Matteotti, dei sequestri continui di giornali. Sessantamila lire per iniziare, otto pagine, scritti densi di impegno e passione. Il manifesto del primo numero, pubblicato il primo ottobre 1924, spiegava che l’intenzione della rivista «sorta nel Mezzogiorno d’Italia» era di «contribuire alla maturazione della coscienza unitaria nazionale ed apre – parare lo Stato di domani». Niente retorica, ma molto rigore. Un’ esperienza tra difficoltà economiche e censure prefettizie. Raccontò Arangio Ruiz, quando commemorò a Villa Pignatelli nel febbraio 19631a figura di Gherardo Marone morto 1′ anno prima: «Ricordo quelle riunioni, che si tenevano di qua e di là, spesso inseguiti, dovendo cambiare di ambiente più volte, e in quell’ufficio del Mondo che era all’angolo di via Santa Brigida con Toledo. Lo ricordo accanto ai nostri capi, accanto a Giovanni Amendola».
L’ultimo numero della rivista, perseguitata dai sequestri, usa il 30 giugno 1925. Scrisse Marone: «Il fascismo è evidentemente soddisfatto delle cose e della vita. Noi non amiamo di solito gli uomini soddisfatti, perché, malgrado ogni apparenza, sono spiritualmente morti». Gherardo Marone, perseguitato, nel 1938 lasciò l’Italia per l’Argentina, dove si sposò, insegnò all’Università, divenne riferimento culturale. Oggi alle 11, nel paese d’origine della famiglia Marone, quel Monte San Giacomo nel Vallo di Diano dove Amendola tenne un celebre comizio nel 1922 dal balcone della casa dei suoi amici, si ricorderà l’ esperienza del «il Saggiatore». L’occasione è la pubblicazione del libro di Sergio Zoppi, Una battaglia per la libertà (Rubbettino editore, pagine 193, euro 14), che sarà presentato da Antonio Bassolino e dal professore Carmine Pinto. La sede sarà il palazzo della famiglia Marone, che ha donato al Comune biblioteca e archivio. Scrisse Gherardo Marone, nel numero del 15 febbraio 1925: «V è, per motivi vari, un’insolita attenzione verso il Mezzogiorno; si manifesta nelle maniere più diverse, dalle polemiche sui lavori pubblici, allavaria e dibattuta interpretazione sull’atteggiamento sui generis dell’Italia meridionale nella crisi politica che dura da un triennio, ai tentativi d’indagine e studio nuovo del cosiddetto problema meridionale, che si ripetono con frequenza». Basterebbero queste parole, per comprendere l’attualità della rivista che fondò Marone. Forse, chi disquisisce oggi di Mezzogiorno dovrebbe far visita a quell’archivio e darci uno sguardo.
Di Gigi Di Fiore
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