Da La Repubblica (ed. Napoli) del 10 gennaio
L’immagine dice già molto. In copertina un gatto si avvicina circospetto a una rivoltella, cerchiata a terra con un gessetto. Il dettaglio di un assassinio. Compiuto in una strada cittadina. Un evento ormai, purtroppo comune. Come la presenza della criminalità organizzata. Che resiste ad ogni cambiamento e infesta le nostre terre da duecento anni. Due secoli di colpevole e per taluni certamente dolosa sottovalutazione, di Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta lucidamente raccontati e analizzati da Isaia Sales nel suo “Storia dell’Italia mafiosa, perché le mafie hanno avuto successo”, edito da Rubettino.
Pagine che suonano come un atto d’accusa per quel groviglio di oscuri interessi tra Stato, società civile e criminali che è alla base del nascere e poi dello svilupparsi e del tramandarsi per due secoli di un sistema sanguinario e illegale al centro della storia del nostro Paese.
E qui sta il punto, l’originalità dell’analisi — condita da notizie che si collegano l’una all’altra — del saggio. Sales riporta al centro ciò che autorevolissimi intellettuali hanno puntualmente confinato in un angolo, se non escluso: Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta non possono essere ridotte a fenomeno territoriale circoscritto, ma vanno viste (e combattute) nell’affermarsi, a livello nazionale, di un blocco sociale e politico che ha le sue radici nel periodo pre unitario.
Scrive l’autore: “Non si può dunque separare la storia d’Italia dalla storia delle mafie; quest’ultima non è fatta solo di biografie di assassini e delinquenti. La storia della criminalità mafiosa è una specie di autobiografia della società italiana e meridionale, ne rappresenta uno degli elementi che hanno stabilmente accompagnato la sua evoluzione e trasformazione storica. La storia d’Italia si caratterizza anche per la lunga e incredibile persistenza di questa particolare forma di criminalità e per il suo intrecciarsi con parti delle classi dirigenti della nazione”.
E ancora: “La criminalità di tipo mafioso in Italia non è un fatto emergenziale. Una presenza plurisecolare tutto è tranne una emergenza. È storia nostra, ci piaccia o no”.
Nel libro molte vicende danno forza e prepotente consistenza alla tesi di Sales. Persino nelle sanguinarie teste dei camorristi o mafiosi di turno, questa coincidenza, talvolta e purtroppo sempre più spesso, di interessi e convenienze tra Stato, istituzioni, cosiddetta società civile e professionisti del crimine è un dato assodato.
La camorra, ad esempio, arriva a non vedere più alcuna differenza. Lo svela il pentito Carmine Schiavone (scomparso un anno fa) durante un’audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti. In realtà è un suo significativo lapsus a farci capire molte cose.
Il brano riportato nel libro riguarda le confessioni del pentito in merito a uno “sgarro” al clan compiuto dal padrino Francesco Sandokan Schiavone che non aveva versato i soldi dovuti da accordi interni alla cosca in relazione al traffico di rifiuti tossici. Dice Schiavone: “Questa situazione diventò subito operativa e iniziarono a versare soldi nelle casse dello Stato”. E il presidente: “Vuol dire nelle casse del clan”. Ma il pentito giustifica così il suo lapsus: “Mi confondo, mi riferivo alle casse del clan, era un clan di Stato”. Il presidente stavolta si inalbera: “Il vostro Stato!”. E Schiavone, gelido, ribatte ancora: “La mafia e la camorra non potevano esistere se non era lo Stato… Se le istituzioni non avessero voluto l’esistenza del clan questo, forse, avrebbe potuto esistere?”.
Nelle oltre quattrocento pagine del volume si rincorrono fatti e voci differenti che dicono tutti la stessa cosa: le mafie sono nate, cresciute e hanno prosperato invadendo il mondo (e, restando nel nostro Paese, il Nord est, da tempo infestato dalle organizzazioni) grazie allo scellerato abbraccio lungo due secoli con appartenti allo Stato in ogni sua declinazione.
Sales ricorda molti eventi e molte affermazioni e a leggerle tutte assieme fanno un certo effetto. Come le parole di un ministro, che tradiscono un pensiero e un modo di (non) affrontare il problema. “Quando nel 2001 il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del secondo governo Berlusconi, Pietro Lunardi, afferma che con la mafia e la camorra bisogna convivere — scrive Sales — non fa un auspicio per il futuro ma semplicemente ribadisce quello che nella storia dell’Italia unita tanti esponenti dei governi (meridionali e settentrionali), degli imprenditori italiani (del Nord e del Sud) avevano sempre fatto, cioè convivere con le mafie. È in quella frase che si può sintetizzare l’atteggiamento delle classi dirigenti nazionali (e non solo di quelle meridionali) verso le mafie nella storia italiana fino alla contemporaneità”.
Nel libro si affronta, con dovizia di particolari, ogni aspetto del “successo” lungo due secoli di camorra & C. Come il potere economico, cresciuto a dismisura, probabilmente adesso come non mai. Sales ricorda che “un solo clan (i Casalesi) può distribuire cinque milioni all’anno di assistenza alle famiglie degli affiliati in carcere”; che in alcuni quartieri di Napoli nel traffico di droga “sono coinvolte contemporaneamente tre generazioni, dal nonno al nipote minorenne”; che un pentito dei Casalesi ha raccontato di godere di due pensioni, “quella dello Stato e quella della camorra”; che il Sappe, “il sindacato della polizia penitenziaria, ha calcolato che ogni mese a Poggioreale entrano 640 mila euro, si tratta di 8 milioni di euro all’anno (senza contare i vaglia postali) che varcano il cancello degli otto padiglioni e finiscono nelle mani dei reclusi senza che di questo denaro esista alcuna tracciabilità”. E sottolinea: “Nel passato i proventi che derivavano da attività illegali non erano tali da condizionare l’economia oltre il livello locale. È questa la differenza con l’oggi”.
Resistendo a duecento anni di vorticosi cambiamenti, Cosa nostra, camorra e ogni tipologia di mafia sono ancora tra noi. Con il loro carico di orrore e sangue. Ma è un “successo”, accusa Sales riportando e ricollegando numerose vicende, che senza l’appoggio, la connivenza, l’interesse di un opaco e sempre presente blocco politico e sociale, non sarebbe stato possibile. Difficile, in buona fede, dargli torto.
di Giovanni Marino
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