Da L’Unità del 16 aprile
È la strage degli innocenti. È la brutalità della mafia reale, che ha un solo vero obiettivo, quello così sintetizzato cinquant’anni fa da Leonardo Sciascia: “… Associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, che si pone come intermediazione parassitaria, e imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato”.
Per anni, decenni, ci si affanna a negarne l’esistenza; al tempo stesso la si accredita come una sorta di congrega di galantuomini – simile alla setta dei Beati Paoli raccontata nei romanzi di Luigi Natoli – vendicatori e giustizieri. Lo stesso Tommaso Buscetta, nelle sue dichiarazioni, accredita l’alone leggendario del mafioso d’un tempo, che non uccide le donne e i bambini, ed è fedele a un suo specifico codice d’onore.
Balle: il mafioso l’onore non l’ha mai avuto; e per perseguire il suo fine (l’illecito arricchimento) da sempre spara e uccide; poco importa chi è la vittima: uomo, anziano, donna, bambino. Se è “utile” ucciderlo, lo si uccide e basta. Un’atroce realtà ben documentata in un libro di fresca stampa: “Al posto sbagliato, storie di bambini vittime di mafia”, di Bruno Palermo (prefazione di Luigi Ciotti, postfazione di Francesca Chiavacci, Rubbettino editore, pagg.198, 14 euro).
Mafia la cui unica regola è: “Noi facciamo quello che ci pare”. Una mafia che a Palermo, nei giorni subito dopo il Natale del 1896 non ci pensa due volte a uccidere Emanuela Sansone; “misterioso delitto”, scrive un giornale dell’epoca. Emanuela ha 17 anni, gioca con i due fratelli, quando alcuni colpi di fucile la colpiscono mortalmente: forse vendetta, forse “punizione” per uno sgarbo commesso dai genitori.
Da allora, una strage, un centinaio di ragazzini, spesso bambini. Storie atroci, come quella di Giuseppe Letizia, un pastorello di 12 anni di Corleone. In paese c’è un sindacalista che combatte i mafiosi, è un rompiscatole, si chiama Placido Rizzotto; si è messo in testa, pensate, che la terra va data a chi la lavora. Michele Navarra, direttore dell’ospedale di Corleone per meriti di mafia, lo condanna a morte. Rizzotto viene sequestrato e ucciso da un mafioso destinato a diventare famoso, Luciano Liggio. Il ragazzino vede tutto. Anche lui finisce nelle mani dei mafiosi, lo uccide Navarra in persona, con una iniezione. Quanti esempi si possono fare, per smentire la “favola” di una mafia “buona” del tempo andato, poi soppiantata da una mafia “cattiva” e spietata: una cinquantina i ragazzini uccisi, dal dopo guerra agli anni ’80; in Sicilia, Calabria, Campania, Puglia; ma anche Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana.
Un caso clamoroso: quello del dodicenne Giuseppe Di Matteo, tenuto prigioniero in condizioni atroci per 779 giorni; è colpevole di essere figlio di un pentito; alla fine viene strangolato, il corpo viene sciolto nell’acido. Ancora: Claudio Domino. Ha 11 anni. A Palermo si celebra il primo maxi-processo alla mafia. Il padre si è aggiudicato l’appalto per le pulizie. Vai a capire perché un killer freddamente spara e uccide quel ragazzino con un colpo di pistola alla testa. A Cassano Ionico due anni fa i carabinieri trovano la carcassa di un’automobile bruciata; a bordo tre corpi carbonizzati: quelli di bambino, Nicola Campolongo, tutti lo chiamano “Cocò”; il nonno e una ragazza. Vendetta per una partita di droga non pagata, pare. Aveva tre anni.
Aprile 1985: a Trapani c’è un magistrato, si chiama Carlo Palermo; la mafia con un’autobomba. Al momento dell’esplosione l’automobile del magistrato sta superando la vettura su cui si trovavano Barbara Rizzo e i suoi due piccoli gemelli Salvatore e Giuseppe Asta, tutti e tre muoiono dilaniati. Avevano appena sei anni, Salvatore e Giuseppe.
Ma ci sono anche Nadia Nencioni, 8, anni e la sorella Caterina, 53 giorni: vittime dell’attentato mafioso a Firenze, ai Georgofili. Giovanni Canturi, 13 anni viene ucciso assieme allo zio nelle campagne di Caraffa del Bianca, vicino Reggio Calabria: una vendetta covata per almeno dodici anni. A Pollena Trocchia, vicino Napoli, muore vittima di un agguato, Valentina Terracciano due anni. L’obiettivo era il padre della bimba; tra i killer anche il mandante di un agguato analogo, a Somma Vesuviana, dove muore un bimbo di due anni. E Annalisa Durante, 14 anni, napoletana. Nel mirino dei killer c’è il rampollo di un clan rivale; ci va di mezzo lei, che senza neppure rendersene conto, si viene a trovare in mezzo alla sparatoria che la uccide…
Quello che colpisce è che a volte bambini e donne vengono uccisi da ragazzi, perché nel sistema mafioso c’è una educazione sin da piccoli alla crudeltà e all’indifferenza per chi non appartiene alla “famiglia”; chi non appartiene al clan mafioso non ha valore. Sono numerosi i casi di killer minorenni addestrati a uccidere e diventati dei killer professionisti. “Al posto sbagliato” è un libro con molti pregi. Uno è ben individuato a don Ciotti: “Non ci sono solo le storie note, quelle che in molti già conoscono perché salite alla ribalta delle cronache…restituisce alla memoria collettiva anche vicende poco o per nulla conosciute, che hanno segnato il destino delle famiglie, ma non la coscienza dei cittadini”. Meglio non si potrebbe dire.
di Valter Vecellio
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