Da Il Corriere Fiorentino del 17 aprile
La morte di Gianroberto Casaleggio rende più urgente la trasformazione del M5S, finora procrastinata: l’assenza del cofondatore del partito di Beppe Grillo, la cui eredità aziendale è stata rilevata dal figlio Davide, accelera un percorso che era inevitabile. I Cinquestelle restano agganciati al loro 25% dal 2013, non scendono nonostante il governo delle città che amministrano sia parecchio discutibile (non stiamo qui ad annoiarvi di nuovo con ilì caso Livorno), ma non hanno i numeri per diventare forza di governo. Da quando siedono in Parlamento, i grillini si sono fatti riconoscere per il loro complottismo, per le scie chimiche, il Club Bilderberg, le sirenette. I Sibilia (Carlo) hanno detto che l’allunaggio è tutta una montatura, le Ciprini (Tiziana) hanno lasciato valigie incustodite a Bruxelles dopo gli attentati per far vedere che, insomma, le autorità se ne fregano e forse pure quello è tutto un complotto dell’Occidente contro l’Islam.
Casaleggio insieme al suo socio Grillo è riuscito a prendere il 25% e 9 milioni di voti, ma ha anche mandato in Parlamento e nelle istituzioni una classe dirigente rabberciata, credulona, impreparata, convinta che il male stia tutto negli altri e il be ne solo nel M5S. I suoi troll in Rete hanno alimentato l’odio online e un certo fanatismo da setta. Ci si può dispiacere per la morte di Casaleggio, ma i rischi e i limiti della sua creatura restano intatti, e in questi giorni le lodi sperticate al cofondatore sui giornali e tra i politici, specie dopo aver detto per anni che era un pazzo scatenato, sono apparse un po’ ridicole. Ci vorrebbe più equilibrio e meno ipocrisia nel valutare persone e fenomeni politici. Questo non significa non riconoscere il ruolo avuto in questi anni dal Movimento.
«La vera intuizione del M5S e di partiti e movimenti analoghi in Europa non è tanto la sbandierata democrazia diretta elettronica – scrive Carlo Carboni nel suo L’implosione delle élite. Leader contro in Italia e in Europa (ed. Rubbettino) – quanto la politicizzazione della rete, avendo come formidabile cavallo di battaglia la critica spietata alla casta politica. In Italia, questa protesta, soffiando sulla crisi di rappresentanza, è stata in grado di scatenare una capriola emotiva e cognitiva in un ampio settore di elettori nelle elezioni del febbraio 2013». Sono anni che ci interroghiamo e vediamo costantemente la rappresentanza politica in crisi; non è più un fenomeno nuovo, anche se tutt’ora non c’è soluzione al calo di iscritti ai partiti, all’astensionismo elettorale, all’idea generalizzata nell’elettorato che sia meglio perseguire una felicità privata a scapito della felicità pubblica. A che serve impegnarsi politicamente o semplicemente partecipare in qualche forma alla vita politica (quindi pubblica) del Paese se tanto rubano tutti o comunque sia sono tutti deludenti rispetto alle aspettative? Il M55 finora è stato un tentativo di risposta a questa domanda, che sarà pure grossolana ma è ben presente nell’elettorato. La morte di Casaleggio rende necessario l’abbandono del complottismo anti-bilderberghiano, anche perché l’alternativa è una ulteriore radicalizzazione politica, corrispondente al trionfo dei Sibilia. La progressiva investitura di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista sembra lasciare intendere che il M55 sarà nelle loro mani (Grillo resterà come coach?). In passato, ogni volta che la successione faceva capolino sulle pagine di giornali, nascevano maldipancia tra gli altri membri del direttorio. Di Maio e Di Battista non hanno seri concorrenti, al momento, per la conquista della leadership, ma possono mettere in conto qualche grana nel farsi definitivamente largo tra i contendenti (i contendenti ci sono sempre, ovunque, anche in movimenti presunti orizzontali). Non ci può essere partito che abbia interesse a governare seriamente senza una leadership chiara e riconosciuta, tanto più che le elezioni politiche sembrano essere più vicine (il referendum costituzionale in autunno aiuterà a capire quanto). Non è tanto una questione di programmi; il M5S non potrà mai rinunciare a ciò che l’ha reso famoso e popolare, cioè le bordate contro la Casta. È più una questione di stile: l’epoca delle pagliacciate è finita, specie adesso che a Roma il M5S ha un’occasione unica per vincere (e per non finire come Livorno), o no?
di David Allegranti
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