Da pane-rose.it
La prostituzione rappresenta uno degli ambiti d’analisi più articolati per comprendere le dinamiche attuali dello sfruttamento sistematico. Naturalmente posta al crocevia di situazioni esistenziali che pure hanno chiarissime implicazioni politiche: la tratta degli esseri umani e la marginalizzazione della resistenza a questi fenomeni, l’uso feticistico del denaro e della sua simbologia, frustrazioni personali a volte direttamente dettate dai vincoli di subordinazione del potere. Charlie Barnao, col recente volume per i tipi di Rubbettino (Soveria Mannelli, 2016), prende finalmente il toro per le corna, approfondendo con metodo empirico e possibili prospettive teorico-ricostruttive uno dei temi dimenticati della nostra epoca. La dimenticanza nasce, in fondo, dal difetto di rappresentanza. Nella storia del movimento operaio, il proletariato ha il partito come strumento per imporre la sua dittatura. Ma che resta al sottoproletariato? Siamo davvero sicuri, poi, che i processi in atto negli ultimi decenni -proletarizzazione della bassa borghesia cognitiva e sottoproletarizzazione del proletariato- siano evoluzioni spontanee dell’ordine sociale e non, più concretamente, conseguenze precise di una strategia di regolazione della vita delle persone?
Una regola si impone quando nessuno le si oppone -altra banalità. Ma affinché l’opposizione residua acquisisca davvero lo status dell’inefficacia è necessario che essa perda interesse ad organizzarsi: da questo punto di vista, la condizione di prostituti e prostitute descrive perfettamente la minorità realizzata con sapienti alternanze di occultamento e repressione.
Il volume di Barnao, che ha una scrittura accessibile e profonda anche nei passaggi più tipicamente sociologici, non si propone di arrivare ad una sintesi politica. E fa bene: la teoria del diritto, nella critica al socialismo, ha spesso trattato della sopravvivenza di prostituzione e pornografia negli Stati socialisti. La sopravvivenza di logiche di sfruttamento basate sulla mercificazione del corpo e sull’esistenza di relazioni di dominio si afferma ovunque non venga rimossa: la potenzialità dissacrante, di consapevolezza etica ed estetica, che il cinema erotico ha spesso cercato di intestarsi naufraga davanti alle strutture patriarcali del potere -anche al tempo della governamentalità neoliberale.
Charlie Barnao scrive una sorta di viaggio in Italia sul fenomeno della prostituzione, pur non mancando sponde verso il continente americano (ancora una volta, col territorio settentrionale sovente “utilizzatore” della prostituzione e quello meridionale spesso degradato a fonte della libidine altrui).
Pare soprattutto significativo il metodo che Barnao ha deciso di darsi, un’epistemologia scolpita sin dal titolo. La “precedenza” delle prostitute -e dei prostituti- non fa per forza orecchio alla promessa escatologica del messaggio evangelico. In modo molto più netto e anticonvenzionale, è una “precedenza” che certifica la mutazione dei costumi sociali e la modificazione delle forme dello sfruttamento ben prima della loro evidenza comune. Legislazioni repressive, applicate in modo discontinuo, legittime aspettative di riscatto infrante sul reiterarsi di vincoli e catene… eppure, il volume di Barnao non ha toni lamentosi (e nemmeno, all’opposto, consolatori). Racconta con capacità l’orizzonte simbolico e psicologico in cui muovono i clienti delle prostitute, per come le prostitute lo guardano, ricevono, colgono. Talvolta contribuendo ad ingenerarlo e assai più spesso finendo per subirlo.
Nella sessualità mercificata si realizza una mimesi tipicamente post-capitalistica: lo scambio dei ruoli, il ribaltamento dei rapporti di genere, l’allusività come forma di adescamento ben più efficace della coazione. Un mimetismo che si è impossessato della mercificazione sessuale attraverso la Rete, ben oltre i canali tradizionali della strada e del marciapiede. Dove, attenzione, però, le dinamiche non per forza ci mostrano tratti evolutivi o di alleggerimento di una condizione problematica, quanto piuttosto una modificazione radicale di rappresentazioni esteriori che finisce per stabilizzare ancor di più le pratiche nell’agire sociale.
Ci appare un lavoro d’analisi non agevole, né improduttivo, quello di tarare le osservazioni di Barnao dal punto di vista della pratica politica di liberazione verso cui potrebbero orientarsi.
E’ tuttavia ancor più interessante registrarne l’efficace impianto sociologico, la mai banale propensione di studio e la copiosa messe di risultati che offre. Su di essa, il lettore si senta libero di procedere come meglio crede. Almeno per sabotare le mistificazioni e i luoghi comuni che presidiano, paciosi come serpenti al sole, lo status quo.
di Domenico Bilotti
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