Recensione di Martino Ciano. In copertina: “L’ultima erranza” di Giuseppe Occhiato, Rubbettino, 2023
Una novità è quando ti trovi davanti a un libro come questo, non importa quando è stato pubblicato, quanti anni ha, anche perché i libri non hanno una data di scadenza, ma conta solo quello che ti lascia e quanto è stato capace di stupirti. Il romanzo di Giuseppe Occhiato, scrittore calabrese morto nel 2010, parla la lingua del Novecento italiano e non solo. In un unico libro ritrovo Landolfi, Gadda, Bufalino, Satta e qualcosa che mi ricorda il Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki.
Questo calabrese nato a Mileto nel 1934, conosciuto soprattutto per le sue ricerche storiche, si lancia in una avventura complessa il cui unico obiettivo è quello di “costruire la propria lingua”, proprio perché la “lingua è tutto”. Questa frase, Occhiato la scrive nella postfazione, prendendola in prestito da Céline. Tra dialettismi, termini aulici e folkloristici, l’autore dà vita a una vera e propria epopea.
L’avvenimento scatenante è il ritorno di Filippo Donnanna nella sua Mileto, borgo della provincia di Vibo Valentia. È il 1983 e Donnanna è venuto a cercare riposo, perché stanco dei ritmi del Nord Italia. Ritorna alle sue origini, guidato dai soliti sentimenti di amore e di odio, da quei ricordi che fanno sorridere e piangere. Sente che il tempo è passato; si sente vecchio, forse la morte è dietro l’angolo, ma non è detto che la vita non possa ancora stupirlo, anche se lui non ci crede.
Fatto sta che durante la sua erranza, nella sua appassionata ricerca di un Assoluto verso il quale si sente attratto, si imbatte in una storia davvero strana, ossia quel funerale di cui ancora si parla, che riguardò Rizieri Mercatante, un giovane che nel 1943 morì sotto le bombe della Seconda Guerra Mondiale. Quel funerale fu celebrato nel 1963! A volerlo fu suo padre, che proprio durante gli anni del Fascismo partì per l’Argentina, abbandonò la sua famiglia e lottò solo per diventare ricco.
Furono esequie grandiose, che da una parte servirono al padre per pulirsi la coscienza, mentre dall’altra aiutarono il figlio a mettere fine alla sua erranza ingiuriosa nel Regno dei Morti, nel mondo sottano. Infatti, il giovane, senza aver ricevuto “tutti i riti necessari” non avrebbe potuto attraversare il Ponte di Santo Jacopo e guadagnare l’aldilà. E cosa iniziò a fare questa povera anima senza pace? Cominciò ad apparire in sogno un po’ a tutti, anche a quel padre che l’aveva abbandonato. A lui chiede di salvarlo dal suo tormento, da quel limbo in cui non si è né vivi né morti.
Ed ecco la grandezza della letteratura di Occhiato, costruire un romanzo-ponte tra particolare e universale, in cui le vicende di un piccolo borgo calabrese vengono inglobate in quell’universo di miti, leggende e riti che costituiscono la “cultura dell’uomo”, la sua base sociale, le armi di difesa da un Assoluto che inghiotte e che non può essere spiegato.
Ecco anche la Calabria e le sue influenze magnogreche e bizantine. Tanti tasselli che spingono a riflettere, ad andare a ritroso, tra quei racconti delle nostre nonne che, forse senza volerlo, erano ancora custodi e sacerdotesse di antichi riti, nonché protettrici di ancestrali suggestioni. Ma, a fare la differenza, è lo stile che sa essere colto e popolano, che sa giocare con i significati, che impone al lettore di essere paziente, perché questo libro non si “divora”, bensì chiede di essere assaporato, interpretato.
Quando ti trovi davanti a romanzi del genere, capisci quale tradizione ha lasciato il Novecento. Eppure, Occhiato è stato capace di andare oltre, di sapere fare i conti anche con la contemporaneità. Infatti, all’interno di questo libro, scritto a inizio XXI secolo, già pubblicato nel 2007 e ripreso da Rubbettino, ci sono i “nostri giorni”. Ci sono mondi che si dissolvono, linguaggi che si mischiano, parole che si legano ad altre parole, significati capovolti e decontestualizzati. Un respiro avanguardistico anima l’opera.
Bisogna leggere Giuseppe Occhiato, scrittore marginale che, come tutti coloro che sono condannati per “strani motivi” all’oblio, dimostrano di essere originali e sono davvero “novità editoriali” con cui bisogna fare i conti.