Nel suo nuovo libro edito da Rubbettino “Il paradosso di Papa Francesco” il sociologo «la secolarizzazione tra boom religioso e crisi del cristianesimo»
«Francesco prova riprendere con vigore la strada della riforma ecclesiale, avviata da Paolo VI e che dopo quel pontificato aveva conosciuto una perdita di intensità e direzione fino al gesto decisivo ed epocale della rinuncia di Benedetto XVI», afferma a Vatican Insider il sociologo Luca Diotallevi, autore del libro “Il paradosso di Papa Francesco, la secolarizzazione tra boom religioso e crisi del cristianesimo”, in uscita da Rubbettino. Diotallevi, ordinario di Sociologia all’università di Roma Tre, ha già messo in discussione alcune acquisizioni tradizionali della sociologia religiosa in saggi come “L’ordine imperfetto, modernizzazione, Stato, secolarizzazione” e “Fine corsa, la crisi del cristianesimo come religione confessionale”.
Il nuovo libro prende le mosse da una domanda: «Come è possibile che il Papa abbia successo e la Chiesa cattolica sia in crisi?». Il professor Diotallevi tiene subito a precisare che il suo è il testo di un sociologo, che cerca di tenersi fuori dal conflitto tra passioni e tra “partiti”, che non vuole entrare nelle polemiche pro o contro Francesco. «Il fatto apparentemente paradossale è che in questo momento il Papa riscuota successo e la Chiesa sia in difficoltà – osserva Diotallevi -. Se ci proiettiamo indietro negli Anni ‘50, alla Chiesa di Pio XII ed a quella società, una situazione come quella attuale era impensabile. Ai tempi di Papa Pacelli se il Papa andava bene, la Chiesa andava bene, se il Papa andava male, la Chiesa andava male. Come dire, la macchina doveva per forza andar dritta se chi la guida stava bene e invece inevitabilmente sbandava se chi la guidava stava male. Oggi non è più così. Cosa è successo?».
Il divergere delle fortune delle due realtà (Papa e Chiesa) richiede alla sociologia di capire, secondo Diotallevi, «un fenomeno che è paradossale e al quale finora non c’eravamo mai trovati di fronte». E, specifica l’autore, «il paradosso di cui parla il titolo del libro non riguarda la persona di Papa Bergoglio, ma riflette le dinamiche che si verificano in questo tempo». Nella società attuale le grandi organizzazioni hanno enormi problemi. Più una realtà sociale vuole esser grande, più deve essere “fatta” di tante organizzazioni, tante istituzioni, tanta cultura, e così via, ma non messe lì a caso una accanto all’altra a cercare il proprio vantaggio. I paladini della vecchia Chiesa non lo vogliono e forse non lo capiscono neppure. Il Vaticano II e Paolo VI, proprio affondando le proprie radici nella intera tradizione della Chiesa e non solo in quella degli ultimi secoli avevano trovato spunti per accettare questa sfida. Tutto questo ed il paradosso di Francesco che non è spiegabile alla luce della teoria classica della secolarizzazione.
«C’è bisogno di una riflessione critica su quella teoria e di una comprensione nuova del processo di secolarizzazione», sottolinea Diotallevi. «Nei primi due capitoli del libro si parla poco di Francesco e si confronta con autori e fenomeni che attengono al rapporto tra religione e modernità oggi». Dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa aveva intrapreso con Paolo VI, secondo l’autore, «un cammino di rinnovamento profetico che prevedeva numerosi costi ma aveva un grande futuro». Poi, prosegue Diotallevi, «nei pontificati successivi a quello di Paolo VI si è ritenuto che si potessero imboccare delle scorciatoie che garantissero il rinnovamento della Chiesa senza dover pagare i costi elevati che il Concilio e Paolo VI avevano messo nel conto».
La rinuncia di Benedetto XVI al pontificato è, secondo l’autore, «la testimonianza più schietta e credibile che la via delle scorciatoie era ed è impraticabile». Diotallevi per l’abbandono del pontificato da parte di Benedetto XVI utilizza un’immagine suggestiva: «L’addio di Ratzinger all’esercizio del ministero petrino è una breccia di Porta Pia alla rovescia nel senso che non sono i bersaglieri che buttano giù i bastioni e invadono la Roma della Chiesa “papalina”, che era in ritardo ed all’opposizione della modernità, ma è la Chiesa stessa e il Papa che abbattono dall’interno i bastioni dentro i quali la Chiesa si era imprigionata».
Ora, però, nel tempo che va dalla morte di Paolo VI alla rinuncia di Joseph Ratzinger ed alla elezione di Francesco «la modernizzazione è andata avanti moltissimo, mentre la Chiesa ha perso tante energie», perciò «quel rinnovamento che Paolo VI aveva impostato e che per quattro decenni è stato rallentato o proseguito solo parzialmente, oggi Francesco si trova a doverlo affrontare con una Chiesa più povera e più stanca». Diotallevi specifica che «in una visione di fede il rinnovamento è sempre possibile, ma, guardato nell’ottica della sociologia, il compito di Francesco è realmente improbo». E aggiunge: «Sappiamo quanto Francesco si ispiri a Paolo VI, il problema è se lui e la Chiesa attuale siano all’altezza di questa sfida: quando il mare è più agitato e il nuotatore più stanco tutto diventa più difficile».
La secolarizzazione è «un processo che va avanti, non si arresta», puntualizza Diotallevi, e «Francesco è libero da ogni nostalgia di riconquista di spazi alla Chiesa, anche perché in un mondo così complesso nessuno è in grado di conquistarlo. L’idea di una riconquista sarebbe una follia da ogni punto di vista e per chiunque». Semmai il Papa è di fronte a un bivio. Il tempo attuale «non è il tempo della crisi della religione, anzi è in corso un boom religioso», allora «il problema è che la religione che oggi ha successo è quella banalizzata. Il paradosso di Francesco è una apparenza, è frutto del presente guardato con vecchie “lenti”. Il dramma di Francesco è invece il bivio drammatico di fronte a cui lui, la Chiesa ed il cristianesimo si trovano».
Il bivio è quello tra «un cristianesimo ridotto a religione banale oppure un cristianesimo che conserva la sua complessità e la sua non infinita adattabilità, un cristianesimo che mantiene al centro la libertà e la coscienza». In questa prospettiva «c’è molto da riformare dentro e molto da combattere fuori». Un esempio, secondo Diotallevi, è il rapporto fra la Santa Sede e la Cina. «Se riduciamo il cristianesimo a una religione innocua, per il cristianesimo c’è spazio anche in Cina. Se invece non lo disgiungiamo dalla libertà, dalla giustizia e dalla lotta per una società aperta, il rapporto con un regime come quello cinese può non essere di ostilità, ma non può essere di serena accettazione».
Un altro esempio: «Rincorrere ogni forma di religione popolare o semplicemente pop, o conservare un cristianesimo che non digerisce ogni forma di religione e soprattutto quelle “a bassa intensità” oggi di gran voga anche tra gli ecclesiastici e nella Chiesa?».
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