Con una scelta di scritti e gli indici della rivista (1948 - 1956)
Saggista e memorialista, figlia primogenita del grande filosofo napoletano Benedetto Croce e come lui organizzatrice di politica e cultura, liberale senza tentennamenti, tra le eminenze grigie dell’Adelphi originaria, che ha tuttora in catalogo alcuni suoi classici ritratti della nostra intellighenzia liberale, da Due città a Ricordi familiari e L’infanzia dorata, Elena Croce (1915-1994) è stata tra i protagonisti della sprovincializzazione della cultura politica e letteraria in Italia.
Dopo i rifiuti condiscendenti (e incomprensibili) di Mondadori, Einaudi e Longanesi, fu lei a portare Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa alla Feltrinelli, che lo pubblicò nel 1958, un anno dopo la morte dell’autore. Lo spettatore italiano (la rivista che diresse dal 1948 al 1956 insieme al marito Raimondo Craveri, storico, tra i fondatori del Partito d’Azione nel 1942 e attivo nella Resistenza, nel dopoguerra in forza al leggendario Ufficio studi della Comit di Raffaele Mattioli) pubblicava contributi di Pietro Citati, Elémire Zolla, Franco Fortini, Leo Valiani, Cesare Cases, ai tempi quasi tutti giovanissimi e sicure promesse del giornalismo, dell’editoria e dell’accademia italiana. Tra i collaboratori (e consiglieri) della rivista c’era naturalmente anche Don Benedetto, che scomparve nel 1952, dopo le prime quattro annate, e quattro anni prima che la rivista chiudesse. Quella dello Spettatore era una redazione d’avanguardia, senza un filo di passatismo.
Fu sulle pagine dello Spettatore italiano, tra la fine degli anni quaranta e i primi anni cinquanta, che in Italia si cominciò a parlare dei Minima moralia e della filosofia della musica di T.W. Adorno e degli scritti di Walter Benjamin, l’uno e l’altro ai tempi quasi del tutto sconosciuti, salvo che in ambienti «elitari», come avrebbe detto Elena Croce, e che sarebbero andati incontro alla loro stagione soltanto vent’anni più tardi, trainati ma anche fraintesi dal Sessantotto (che mirava ad annettersi tutto quanto, dalla Scuola di Francoforte a Linus, da Ho Chi Minh e Che Guevara ai film western). Emanuela Bufacchi, autrice di Elena Croce e «Lo Spettatore Italiano», racconta con ammirata passione la storia di Elena Croce, della sua rivista e di questa singolare avventura del liberalismo italiano, dalla Resistenza alla nascita, nel 1955, del partito radicale, costola di sinistra del vecchio Pli, destinato a incidere in profondità nel paesaggio politico italiano.
Negli anni di Scelba, della cortina di ferro e dell’atlantismo, Lo spettatore italiano anticipò il centrosinistra, appoggiando Fanfani, Gronchi e la sinistra democristiana. Anticipò, cosa che a Elena Croce piacque decisamente poco, anche il futuro compromesso storico, brigando per un’intesa tra la democrazia sociale cattolica e il comunismo gramsciano, in smania d’egemonia.
A volte giocò anche troppo d’anticipo, come quando entrarono in redazione (via Craveri e Mattioli, che nel comunismo italiano, come la maggioranza degl’intellettuali dell’epoca, riponevano una farneticante fiducia) Franco Rodano, Antonio Tatò, Gabriele De Rosa e altri esponenti dell’ex sinistra cristiana: i cattocomunisti originari. Croce e Craveri si separarono a metà dei cinquanta, quando anche la rivista chiuse, ed è possibile che tra le cause del divorzio ci fosse anche una diversa interpretazione del liberalismo di sinistra.
Cesare Cases, allora poco più che trentenne, ebbe modo d’occuparsi di Karl Kraus e Martin Hedeigger, autori di cui in Italia, all’epoca, si sapeva ancora poco o niente. Erano gli anni in cui Giulio Einaudi era tentato, si racconta, di pubblicare le opere scelte di Andrej danov, presidente del Soviet supremo della Repubblica Socialista Russa e arbitro, sotto Stalin, della linea culturale del partito. Lukács, insieme a Bertolt Brecht, rimase a lungo una star del catalogo Einaudi.
Emanuela Bufacchi, in appendice al suo saggio storico, pubblica i carteggi della direttrice con i principali collaboratori, da Elémire Zolla a Leo Spitzer, il germanista. Compaiono anche alcune lettere di Italo Calvino e Luciano Anceschi. Ma soprattutto l’appendice comprende alcuni degli splendidi (e poco convenzionali) saggi che Elena Croce tra il 1948 e il 1956 pubblicò sullo Spettatore. Sono saggi su Gobetti, sull’«engagement», sugl’intellettuali, sul liberismo e sulla vocazione moralistica della Resistenza antifascista, che ebbe lei e la sua famiglia tra i protagonisti.
Cito dal saggio sull’«engagement» dell’incorreggibile intellighenzia italiana, che non ha mai saputo distinguere tra tragedia e melodramma (o tra Eduardo De Filippo e William Shakespeare, per restare al catalogo Einaudi). «Prendiamo», scrive Elena Croce, «uno degli atteggiamenti più caratteristici dei problemi che sembravano essersi posti in maniera più stringente agl’«intellettuali» d’oggi, quello dell’«engagement», che per certi aspetti è la diretta prosecuzione e l’estrema cristallizzazione dell’astratto moralismo antifascista.
Con quanto fatalismo non si sono accettate, anche in polemica contro l’opposto moralismo individualistico dei reazionari, le malinconiche evoluzioni d’intellettuali stimabilissimi, che raccontavano della propria vergogna nel paragonare le proprie mani a quelle dell’operaio, del calore umano che derivava dall’uscire dalle proprie celle di eruditi per entrare a far parte di quelle del grande alveare, della grazia che si conquistava coll’umiltà dell’annientamento». Sono passati quasi settant’anni anni e siamo ancora lì, all’astratto moralismo, alla retorica da talk show populista.
Emanuela Bufacchi, Elena Croce e «Lo Spettatore Italiano»: una vocazione per la civiltà. Con una scelta di scritti e gli indici della rivista (19481956), Rubbettino 2023, pp. 370, 22,00 euro