Dal Domenicale del Sole 24 Ore
La riflessione di Carl Menger sulla funzione della moneta dopo oltre un secolo suona attuale anche oggi epoca di euro e Bitcoin
Come nasce il denaro? Per Carl Menger, il fondatore della Scuola Austriaca dell’Economia, anche la moneta è un prodotto spontaneo delle interazioni sociali. Emerge in risposta ad un bisogno diffuso, non per volontà di un pianificatore. Se un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire, sicuramente lo è Denaro di Carl Menger, opera del 1909 che sa parlare pure al mondo dell’euro e di Bltcoin. È un libro importante ma non una bella lettura: il testo è anzi «complicato, verboso e antiquato nello stile», e proprio per questo il curatore, Lorenzo Infantino, ha aggiunto in appendice il più breve e puntuale saggio “sull’origine del denaro” apparso nel 1892 sull’ «Econotnic Journal». In entrambi i casi, l’argomento di Menger risulterà sorprendente per i più: «il denaro non è una creazione della legge, Nella sua origine, è un’istituzione sociale e non statale. La sanzione da parte dell’autorità dello Stato è estranea ad esso». Il baratto necessita di una «doppia coincidenza dei desideri» di coloro che vanno al mercato: chi produce telescopi e desidera un violino dovrebbe avere la fortuna di incontrare un liutaio alla ricerca di un telescopio. Per questo a un certo punto si affermano come mezzi di scambio dei beni ad alta commerciabilità. I metalli preziosi sono socialmente desiderati anche prima di divenire mezzi di pagamento: e le loro caratteristiche di malleabilità e facile divisibilità ne spiegano il successo storico. Per Menger, la moneta non è «il risultato programmato degli sforzi dei membri di una società», non è venuta ad esistere in ragione di un progetto: non c’è stato un grande legislatore che ha trascinato il mondo fuori dal baratto. Al contrario, quei beni ad elevata commerciabilità sono diventati «denaro non appena e nella misura in cui assume effettivamente, nello sviluppo del commercio di una nazione la funzione dì intermediario dì uso universale». Ovviamente, specifica Menger parlando della nascita della moneta metallica, «quando i beni relativamente più commerciabili sono diventati “denaro”, l’evento ha avuto anzitutto l’effetto di incrementare la loro originaria commerciabilità».
Geld però non è una lettura imprescindibile in ragione della ricostruzione mengeriana della storia del denaro. Il punto centrale della riflessione di Menger è piuttosto una disamina sulla funzione della moneta, che suona assieme esotica e drammaticamente attuale dopo un secolo di macroeconomia. La moneta serve ad abbassare i costi delle transazioni, consentendo un’estensione della divisione del lavoro inimmaginabile in regime di baratto. Questo, e non altro, è il compito del denaro ed è per così dire suo compito “naturale”: è il modo in cui esso serve il mercato e la ragione per cui sorge nel mercato.
Ed è proprio per questo che è il mercato è il migliore regolatore della moneta. «Un economista che volesse calcolare la domanda nazionale di tenaglie, martelli o altri attrezzi, partendo dalla frequenza e dalla durata del loro impiego, e dalla maggiore o minore rapidità con la quale vengono adoperati», scrive Menger, perderebbe solo tempo. La frequenza e la rapidità con cui questi strumenti vengono adoperati (l’equivalente dellavelocità di circolazione della moneta) non ci dice nulla su quale sia la loro effettiva domanda. Leggendo Geld si coglie bene il rapporto di discendenza intellettuale che a Menger lega Friedrich von Hayek, il Nobel austriaco che si spinse a ipotizzare la denazionalizzazione della moneta: la restituzione anche dei mezzi di pagamento alla libera concorrenza. Anche Menger, come opportunamente ricordato da Aguirre e Infantino nella loro introduzione, non crede che il rischio di eccesso di offerta di moneta cartacea (un bene il cui valore supera sempre il costo di produzione) possa essere meglio contrastato facendo assegnamento su un monopolista dell’emissione: la banca centrale. Al contrario nella prospettiva di Menger è proprio in regime di monopolio che è più probabile che l’offerta di moneta bancaria superi la domanda. Il monopolio mette a rischio la convertibilità (ed effettivamente, il monopolio ha seppellito la convertibilità dei biglietti in oro) ed è per definizione in una posizione che gli consente di ignorare la domanda.
Nelle settimane scorse si è molto parlato di Bitcoin, valuta emessa non da una banca centrale ma da un network peer-to-peer composto dai computer dei suoi utilizzatori. I Bitcoin vengono generati man mano che i computer in questa rete svolgono una serie di compiti matematici complessi. Bitcoin è governato da un algoritmo (i cui inventori si nascondono dietro il nome “Satoshi Nakamoto”) pensato per stabilizzare l’offerta di moneta, ovvero aumentandone il costo marginale di emissione. Si simula così un andamento non diverso da quello dell’estrazione di metalli preziosi. La “coniazione” dei Bitcoin è scrupolosamente documentata, in modo da risolvere il problema della contraffazione. I Bitcoin vengono comprati e venduti esattamente come si farebbe coi dollari canadesi o conle corone svedesi, su piattaforme specializzati (il mercato di scambio più importante è Mt Gox), e soprattutto servono a condurre transazioni su Internet. Essi non sono (ancora) una moneta nel senso di Menger: non sono un mezzo universalmente accettato di pagamento. É altrettanto vero che Internet pone in essere una cooperazione economica talmente internazionalmente ramificata e complessa, che già oggi i Bitcoin possono comprare più “cose” di quanto non fosse il caso con molte valute statali del passato. Maggiore è il numero di beni che potranno comprare, e più somiglieranno a “denaro” in senso proprio. Dei Bitcoin si è parlato perla sua straordinaria volatilità: in poche settimane il Bitcoin è passato dall’esser scambiato a 40 a oltre 240 e di nuovo a circa ioo dollari.
L’Initiative on Global Markets di Chicago Booth sottopone ad alcuni economisti di fama delle affermazioni, per verificare il loro grado di condivisione delle medesime. Recentemente, ha verificato che in buona parte essi si trovavano d’accordo con la seguente: «Il valore di un Bitcoin deriva esclusivamente dalla convinzione che altri individui siano disposti ad utilizzarlo per i loro scambi, con la conseguenza che il suo potere d’acquisto è destinato a fluttuare nel tempo, in misura tale da limitarne l’utilità». In qualche misura, per l’autore di Geld, la prima affermazione risponde alla seconda. Le fluttuazioni dipendono dalla fiducia che la moneta ispira: dalla sua “scambiabilità”. Il corso forzoso non è necessariamente un fattore di “stabilizzazione”. Ma le nostre società vedono spesa pubblica e tassazione a livelli inimmaginabili quando Menger scriveva. Lo Stato è ineneficiario di ukimaistanza” dibuona parte delle nostre transazioni. Proprio il fatto che non incassi Bitcoin ne limita la circolazione. Tanto basta ad inficiare questa sorta di esperimento “controllato” delle idee mengerione? I difensori del monopolio della valuta, ovviamente, ci contano.
Di Alberto Mingardi
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