Da Il Giornale del 4 novembre
Anche se pochi se ne sono accorti, il recente decreto-legge detto Sblocca Italia include un articolo che potrebbe aprire spazi allo sviluppo di comunità volontarie, città private e, insomma, a forme innovative di produzione e gestione di attività di largo interesse.
In effetti, per molti servizi pubblici (strade locali, gestione dei parchi, polizia, spazi sportivi o culturali, ecc.) oggi di norma dipendiamo da enti di Stato: dobbiamo accettare, ad esempio, quanto è fornito in maniera monopolistica dalla nostra amministrazione comunale. Per questa ragione, nonostante una fiscalità sempre più onerosa, il servizio è spesso di bassa qualità.
Al fine di trovare una soluzione, sulla scorta di realtà di altri Paesi, la norma prova a immaginare che anche nel nostro Paese – in America sono ormai milioni di famiglie – vi siano quartieri e aree in cui tali beni e servizi a interesse diffuso non siano forniti da un soggetto pubblico ma da privati.
In qualche caso già ora questo è possibile: come in parte è avvenuto a Milano Due o all’Olgiata. Simili spazi di autogoverno potranno però svilupparsi e crescere solo se quanti usufruiscono dei servizi non saranno costretti a pagare due volte: finanziando l’iniziativa (privata) di cui usufruiscono e anche quella (pubblica) a cui non sono interessati. Se insomma vivo in un condominio indipendente che ha proprie biblioteche e centri sportivi, che cura da sé il verde e fa la manutenzione delle strade, è giusto che quanto meno abbia una riduzione delle imposte locali, dato che l’ente pubblico non deve sostenere oneri.
Il decreto compie solo un piccolo passo: all’articolo 24 si parla infatti unicamente di taluni servizi («la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze o strade») e non di altri. Per giunta tutto ora dipenderà dalla lungimiranza degli amministratori locali, ma se qualcuno comprenderà le potenzialità di questa innovazione, anche da noi potremmo avere imprenditori in spazi che erano tradizionalmente monopolizzati da politici e burocrati.
Ma come si è arrivati all’introduzione di simili idee in un decreto del governo? Di tali questioni, una ventina di anni fa si occupavano solo pochi sognatori. Scrisse a più riprese in difesa delle cosiddette «privatopie», ad esempio, un ricercatore indipendente di orientamento libertario come Guglielmo Piombini. In seguito l’idea ha fatto sempre più strada anche grazie a studiosi di diversi Paesi, ma da noi è stato soprattutto Stefano Moroni, urbanista di ispirazione hayekiana, a pubblicare importanti volumi volti a illustrare i pregi di una gestione non statale dei servizi comuni (si veda ad esempio La città intraprendente, Carocci, 2011, curato da Moroni con Grazia Brunetta).
Dopo che nel 2002 1’Independent Institute pubblicò un’ampia ricerca storica che in vari capitoli trattava esattamente il tema della città volontaria, la battaglia è stata ripresa dall’Istituto Bruno Leoni con seminari e altre iniziative. È proprio grazie a questo think tank che il testo sopra ricordato (La città volontaria, Rubbettino, 2010) esiste anche in italiano. Per giunta, nelle scorse settimana l’editore IBL Libri ha pubblicato gli atti di un convegno, dal titolo Libertates, sul quel libro che si tenne a Verona quattro anni fa per iniziativa di Daniele Velo Dalbrenta.
Un po’ alla volta l’idea di permettere lo sviluppo di «supercondomini» che si prendano cura di molti servizi è stata accolta in numerosi ambienti. In particolare, è stata fatta propria da Confedilizia, la quale ha avviato un’efficace azione persuasiva nei riguardi di uomini politici, alti funzionari di Stato, amministratori locali. Quella norma non sarebbe nel decreto «Sblocca Italia» senza la determinazione di chi si è innamorato dell’idea di liberare la città e dare spazio a logiche competitive.
La vicenda è interessante in sé, poiché sottrarre la città al controllo urbanistico e amministrativo è fondamentale se si vogliono allargare gli spazi di libertà. Ed è interessante anche quale riprova, in un senso più largo, del fatto che – come amava ricordare Friedrich von Hayek – «le idee hanno conseguenze». Il progetto delle comunità volontarie, di realtà che si autogestiscono e di conseguenza rivendicano almeno uno sgravio dei tributi da pagare, era un’idea forte: non sorprende che abbia fatto breccia in varie direzioni. Tanto i politici quanto gli altri protagonisti della sfera pubblica in linea di massima ripetono e rielaborano le tesi formulate da studiosi e accademici: e questo spiega perché la battaglia culturale è tanto importante.
di Carlo Lottieri
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