Da Repubblica del 20 luglio
Contrordine. Dopo che ci hanno spiegato che gli Stati-nazione hanno perso il proprio ruolo. Che la globalizzazione li ha esautorati di ogni potere, lasciando loro, di sovrano, soltanto il debito, da qualche tempo il vento sembra soffiare in altra direzione. Non che la “global polity” arretri, che il mercato mondiale non detti più le sue regole. Eppure qualcosa di nuovo si avverte. Nella realtà e nella teoria. Mentre alcuni grandi Stati – Russia, Cina, India, Brasile – tornano a rivendicare le proprie prerogative anche in politica estera, in Europa le frontiere interne ricominciano a chiudersi. La Germania pone senza reticenze i propri interessi nazionali ben al di sopra di quelli dell’Unione Europea e la Francia non manca, appena se ne dà l’occasione, di far valere il proprio status di media potenza militare.Sotto la crosta apparentemente compatta della globalizzazione, si ricostituiscono aggregati nazionali in competizione per l’egemonia sui territori limitrofi. A questi mutamenti di scenario risponde, nella teoria politica, una ripresa di attenzione per la categoria si sovranità. Mentre Hent Kalmo e Quentin Skinner raccolgono una serie di saggi multidisciplinari in Sovereignty in fragments (Cambridge Univ. Press), Charles S. Maier dà al suo ultimo libro il sintomatico titolo Leviathan 2.0 (Harvard Univ.). Diversamente da coloro che da tempo guardano Dopo il Leviatano – è il titolo deldel libro di Giacomo Marramao pubblicato da Bollati – Leviathan 2.0 rimette in gioco il mitico gigante di Hobbes, ma cambiandogli i connotati. Mentre il Leviatano 1.0 era volto soprattutto a dirimere i conflitti attraverso una sovranità assoluta, quello che gli succede rivolge la sua attenzione al territorio e al benessere della popolazione. Già si intravede il profilo, ancora indefinito, di un Leviathan 3.0, capace di sopravvivere alla globalizzazione contrattando di volta in volta con essa i margini del proprio potere.
Colpisce come anche da parte della sinistra radicale ci si torni a interrogare su The Return of the State all’interno delle dinamiche globali. Nel saggio The State of Capitalist Globalization (in Wiewpoint Megazine) Sandro Mezzadra e Brett Neilson sostengono che oggi lo Stato non solo è ben vivo, ma costituisce un punto di vista privilegiato per studiare i grandi dispositivi che governano lo spazio globale attraverso una inestricabile commistione di politica, economia e diritto. Nonostante la sua ritirata strategica, esso è sempre in grado di intervenire sulla nostra vita alternando fasi normali a fasi di emergenza, aumentando, o diminuendo, i diritti degli individui. È vero che l’economia sembra muoversi secondo una logica autonoma. Ma chi ha promosso, fin dagli anni Settanta, le politiche neoliberali che hanno indebolito il welfare, se non gli stessi Stati sovrani? Più in là ancora si spinge Biagio de
Giovanni nella difesa della categoria di sovranità nel suo nuovo saggio Elogio della sovranità politica (Editoriale Scientifica). La sua tesi è che la sovranità statale è ciò che ha fondi) la libertà dei moderni. Tutt’altro che responsabile dei crimini commessi in suo nome dagli Stati totalitari, essa è ciò che ha a lungo garantito quei diritti che oggi le si sono rivoltati contro. È una linea di ragionamento già assunta da Agostino Carrino in Il problema della sovranità nell’età della globalizzazione (Rubbettino 2014). Anche per lui la crisi del potere sovrano, a favore dei mercati finanziari da un lato e delle Corti di giustizia internazionali dall’altro, determina un deficit di politica, cui è necessario porre rimedio con una nuova dose di sovranità nazionale.
Ora che gli organismi internazionali, compresa l’Unione Europea, soffrano di un difetto di legittimazione popolare è sotto gli occhi di tutti. Lo stato di impotenza in cui versa l’Europa è palese. Ma che tale blocco politico sia rimovibile attraverso un ritorno alle identità nazionali appare quantomeno dubbio. Dal momento che sono proprio esse ad impedire quella politica europea di cui si sente urgente bisogno. Ancora più opinabile è che responsabile di tale arretramento della politica sia il diritto. Che anzi esercita una necessaria funzione di contenimento e di contrasto rispetto ai poteri, essi sì illegittimi, della finanza globale. Quale universo avremmo oggi di fronte se alla debolezza del principio di legittimità si associasse anche un deficit di legalità?
Ciò significa che il potere sovrano va adattato alla irreversibile mutazione in corso da qualche decennio. Che ha modificato la “materia” stessa della politica, costituita sempre più dalla vita biologica di intere popolazioni, da salvaguardare attraverso interventi del tutto fuori della portata dei singoli Stati nazionali.
Tutto ciò non ha nulla a che vedere con atteggiamenti utopistici. Per rompere equilibri solidissimi di potere a favore di interessi generali sarà necessario riattivare il conflitto politico. Del resto il passaggio a una politica dei grandi spazi era stata da tempo rivendicata da un maestro di realismo come Carl Schmitt – proprio il maggior teorico novecentesco della sovranità. Se veramente si vuole mettere in campo una forza politica capace di competere con le potenze illegittime che piegano il mondo ai propri interessi, l’unica chance per noi resta l’Unione europea. Nonostante e forse proprio nel momento della sua massima crisi.
Di Roberto Esposito
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Leviatano 2.0 così ritorna lo Stato sovrano
di Roberto Esposito