Nasce la collana «I quaderni di Regalpetra» curata dal nipote Vito Catalano
«Una conversazione a Palermo con Leonardo Sciascia». Questo scritto di Ian Thomson (tradotto e curato da Adele Maria Troisi) è il primo de «I quaderni di Regalpetra», una nuova pregevole collana edita da Rubbettino. Appuntamento imperdibile per chi ama Sciascia. Per chi lo avverte vicino, fraterno nella ragione. Il volume dà conto dell’incontro, seguito a uno scambio epistolare, tra lui e il giornalista del «London Magazine» Ian Thomson. Un lungo colloquio, iniziato alle 14:00 di un giorno d’inverno alla fine del 1985. Il luogo è la casa palermitana dello scrittore. Per l’ospite, l’impatto è fulminante: «La porta di casa Sciascia è già aperta quando esco dall’ascensore. È in piedi, curioso incrocio tra Albert Camus e Humphrey Bogart, accanto a un portaombrelli che contiene una nutrita collezione di bastoni dal pomo d’argento. Indossa un abito di sartoria di serge grigio con una vivace cravatta rossa». Nello studio, oggetti vittoriani e Art Nouveau. Una chaise longue. Il pacchetto di sigarette Benson & Hedges. Viene offerto il caffè.
Il dialogo si avvia sotto un cielo di pagine scritte, accese dai valori e dagli ideali più cari a Sciascia, quelli «tipicamente voltairiani»: la Libertà, la Ragione, la Giustizia. Numi allegorici che contemplano un mondo in affanno. In un Paese dove il negativo è «talmente diffuso che nessuno se ne accorge», corre l’obbligo di alzare il velo, nel solco di quel «brutale realismo» della migliore tradizione narrativa siciliana. L’isola legame da sempre: «io sono nato qui, in Sicilia, e di conseguenza sono condannato ad amare quest’isola, anche se a volte mi prende un folle desiderio di non morirci: quasi a compensare, se volete, il fatto di esserci nato». Emerge l’orgoglio di avere inserito Pirandello nel romanzo poliziesco, in quelle prodigiose misture che tengono in pugno il lettore: «insieme di dubbio, ambiguità-relatività se vogliamo seguire le teorie di Einstein». La conversazione è occasione per un fuoco d’artificio di idee. Da ognuna gemma la successiva. Sciascia ammira l’«intelligenza lucida e visionaria» di Poe e dichiara che Diderot e Voltaire, che ha letti da giovanissimo, sono stati per lui «come una boccata d’aria fresca nel mondo fetido dello zolfo». Alla Francia del Settecento riconosce «sensibilità», «vivacità», «luminosità». Sostiene che la ragione, «arma più efficace che abbiamo per rimediare ai mali di questo mondo», va temperata «da una sana dose di scetticismo. Il dubbio è l’origine della saggezza». Ne «I promessi sposi» legge una «favola realmente disperata a proposito delle complicità del potere». Osserva con acutezza: «l’intera Lombardia, probabilmente, oggi soffrirebbe degli stessi problemi della Sicilia, se ai tempi di Manzoni fosse rimasta sotto il dominio spagnolo, anziché passare sotto gli austriaci». E chiosa, sulfureo: «La Storia opera in modi strani e misteriosi».