La casa editrice Rubbettino ha pubblicato, lo scorso anno, il primo volume dei Diari di Ettore Bernabei riferito agli anni 1956-1960. Bernabei (1921-2016) è stato lo storico Direttore della RAI dal 1961 al 1974 ma questo sintetico riferimento al suo curriculum è veramente troppo limitativo. È stato innanzitutto una “eminenza grigia”, un vero e proprio “uomo di fiducia” di Amintore Fanfani ed in parte ispiratore della linea politica dei cattolici democratici in quegli anni. Dalle pagine dei diari emerge un personaggio di caratura eccezionale ed anzi ci si chiede il motivo per il quale egli non abbia deciso di giocare un ruolo politico in prima persona. Dobbiamo inquadrare, innanzitutto, gli anni dei Diari.
Il 1956 è infatti un anno spartiacque nella storia mondiale (anche se Bernabei non sembra coglierne la valenza): la crisi di Suez innesca la crisi del colonialismo franco-britannico e l’invasione sovietica dell’Ungheria avvia un lentissimo processo di decomposizione dell’impero sovietico, anche se a quel tempo ed anche successivamente, non percepito. In Italia, il Segretario della DC è Amintore Fanfani che per un breve periodo (luglio 1958 – febbraio 1959) è anche Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri: un momento centrale in quegli anni. È lo stesso Fanfani a volere Ettore Bernabei, 35 anni, Direttore del quotidiano della Democrazia Cristiana, “Il Popolo” dopo una esperienza al fiorentino “Correre della Mattino”. Il suo ruolo si configura, da subito, come quello di emissario di Amintore Fanfani per delicati incarichi e “uomo di fiducia” per colloqui riservati con diplomatici, politici ed alti prelati. Siamo, infatti, negli anni Cinquanta: il ruolo delle gerarchie ecclesiastiche è potente ed invasivo.
“All’elezione del cardinale Roncalli come Papa Giovanni XXIII Fanfani è molto contento. È il cardinale che a Venezia ha permesso la giunta con i socialisti. La Pira è felice… in Papa Roncalli vede colui che si spingerà alla conversione della Russia e del mondo orientale.”
Ma quali sono le personalità e le idee che muovono Bernabei? In quel momento, nel 1956, l’Italia è governata da un quadripartito di centro-destra (DC, PLI, PSDI, PRI), presieduto da Antonio Segni, assai sensibile agli orientamenti della Confindustria e di una parte, in quel momento assai influente, delle gerarchie ecclesiastiche, dato che il romano Pontefice è Pio XII. Il Segretario della DC, Amintore Fanfani vuole una politica diversa, attenta alle istanze del mondo del lavoro e per questo guarda con interesse ad una apertura a sinistra, in direzione del PSI che ha rotto con i comunisti dopo di fatti i Ungheria. Attorno a Fanfani si muovono personaggi straordinari: Giorgio La Pira, Sindaco di Firenze, terziario francescano e domenicano, mosso da un sincero fervore religioso e da autentico spirito missionario; Enrico Mattei capo dell’ENI che inizia a proiettare l’Italia nei mercati internazionali del settore petrolifero; Ettore Bernabei che diviene, in quegli anni, il “comunicatore” delle politiche di Fanfani.
Quello che impressiona (soprattutto se paragonato alla situazione odierna) è la capacità di visione di questa classe politica: una apertura alla questione sociale sul piano interno (e l’apertura a sinistra è funzionale in questo senso) ed una politica estera decisamente orientata a favore della emancipazione dei popoli, specie del Mediterraneo; quindi, anticolonialista e pertanto diffidente rispetto alle politiche franco-britanniche. Non a caso nel periodo in cui Amintore Fanfani è Ministro degli Affari Esteri, si afferma una generazione di giovani diplomatici denominata Mau-Mau come gli insorti Kikuyu, dell’altopiano centrale del Kenya, contrari alla dominazione britannica: tra questi diplomatici del calibro di Raimondo Manzini a Francesco Malfatti.
Ettore Bernabei si inserisce, a pieno titolo, in questa generazione di cattolici democratici. Fanno riflettere le ricorrenti annotazioni di Bernabei contro il mondo protestante, contro la “finanza anglo-olandese”, persino contro la “finanza ebraica”. A livello di politica estera, ci sono alcune considerazioni che risultano interessanti: come quando i francesi invitano Mattei ad andare in Algeria, allora colonia, per cercare petrolio e La Pira lo consiglia (siamo nel gennaio 1957) di non andare in attesa della fine del regime coloniale. L’indipendenza algerina arriverà solo nel 1962 ma evidentemente La Pira disponeva di un ragionevole convincimento sulla fine del colonialismo francese.
Le pagine dei diari di Bernabei nulla dicono dell’invasione sovietica dell’Ungheria e neppure della messa a morte del protagonista della rivoluzione ungherese Imre Nagy. Eppure, Bernabei commenta positivamente le elezioni politiche del 20 gennaio 1957 in Polonia, (possiamo immaginare realizzate con quale livello di pluralismo e di libertà…):
“In Polonia ha votato il 90%, perché i vescovi hanno detto di andare alle urne. Vincerà Gomulka. Per la prima volta si avrà un regime comunista che si regge per l’appoggio della gerarchia cattolica.”
Per Bernabei il dialogo con il mondo comunista è fondamentale, anche realizzando punti di incontro con i suoi regimi. Questo convincimento è così forte che Bernabei senti il bisogno di annotare nel suo Diario il 3 luglio 1957 “La Pira pensa che Krusciov crede in Dio.”
“Il viaggio di Gronchi in Russia sarebbe stato patrocinato dai tre gruppi della Montecatini, SNIA e FIAT che lo avrebbero preparato a Mosca. Il viaggio poi sarebbe servito alla spartizione di una grossa torta.”
Abbiamo, pertanto, uno spaccato della capacità del mondo affaristico ed imprenditoriale di influire nella vicenda politica italiana. Qui entriamo in un nodo delicato che domina gran parte dei Diari di Bernabei: il pericoloso legame tra affari e politica. Per conto del gruppo fanfaniano ovvero in autonomia, Enrico Mattei svolge una pesante opera di corruzione per condizionare gli equilibri politici e le stesse lotte all’interno delle correnti dei partiti. Mattei, ad esempio, secondo quanto scrive Bernabei, finanzia le correnti del PRI e del PSDI favorevoli all’apertura a sinistra e la stessa corrente autonomista del PSI. Tuttavia, anche l’ingerenza di altri attori è pesante. Alla data del 20 settembre 1957, parlando del Ministro delle Partecipazioni Statali Giorgio Bo, Bernabei annota:
“È però da sperare che Bo riesca a fare lo sganciamento delle aziende IRI da Confindustria, malgrado che De Micheli (Presidente della Confindustria) gli abbia offerto 300 milioni a titolo personale per non farne nulla.”
Si può affermare che quanto emergerà negli anni novanta con Mani Pulite non sia stato altro che la conferma di un sistema che ha caratterizzato la storia repubblicana, proprio come rilevato da Bettino Craxi, in un celebre discorso parlamentare, trentacinque anni dopo.
La lettura dei Diari di Bernabei ci lascia, in definitiva, tanti elementi di riflessione. C’è da chiedersi, innanzitutto, cosa avrebbe potuto esprimere questa élite politicamente impegnata, dotata di una forte motivazione e di una visione del futuro, in un contesto istituzionale diverso: solido, stabile, con un respiro di medio-lungo termine per l’azione di Governo. Si pensi che il Governo Fanfani insediatosi dopo il successo elettorale delle elezioni del maggio 1958, dura soltanto sette mesi e cade per effetto di una congiura prodottasi all’interno della stessa DC.
C’è poi da chiedersi se le iniziative di politica estera del gruppo fanfaniano siano state corrette: l’apertura al mondo sovietico e più in generale al mondo comunista ha rallentato la decomposizione (oggi sappiamo inevitabile) di quel sistema, prolungando la vita di sistemi dittatoriali nell’Europa orientale oppure ha evitato guai peggiori come una guerra nucleare? La lotta contro il colonialismo ha effettivamente aiutato nella propria emancipazione i popoli di numerosi nuovi stati, o, piuttosto, ha generato sistemi dittatoriali e maggiore povertà in tante aree del mondo? Possiamo porci degli interrogativi ma le risposte non arriveranno.