Scelta opportuna e coraggiosa quella di ripubblicare dopo venti anni questo libro, che contiene una lunga conversazione con Felice Ippolito. Coraggiosa perché la discussione sulle fonti d’energia e in particolare su quella nucleare è stata agitata più da suggestioni che da ragionamenti, più da propaganda che da conoscenza. Opportuna perché oggi è impossibile non accorgersi di quanto fosse assennato quel che allora non fu facile sostenere, ovvero che la sicurezza e l’indipendenza economica di una società industriale dipendono anche dalla diversificazione delle fonti energetiche e dei fornitori. Abbiamo amaramente pagato il non averne tenuto debitamente conto. L’autrice è professoressa ordinaria di Storia contemporanea all’Università di Torino, dove insegna anche Storia geopolitica delle fonti d’energia. Quella che racconta, nella prima parte del libro, non è solo la storia di
un’Italia che era all’avanguardia, che si era posta per tempo il problema energetico e che, nell’euforia del dopoguerra, era capace di esplorare tutti i sentieri dello sviluppo, un’Italia che in campo nucleare vedeva confluire investimenti pubblici e privati, aprendo centrali all’avanguardia; purtroppo è anche la storia di un suicidio produttivo, tecnologico e strategico. Ma c’è di più, informa Curli: assieme agli investimenti avvizzirono anche la ricerca e la storiografia, per lunghi anni costringendo il tema a una insensata rimozione. La seconda parte del libro raccoglie le parole di Ippolito, che del nucleare italiano fu pioniere e contro il quale si mosse un’inchiesta per mala gestione del denaro pubblico. Una vicenda dallo spessore a dir poco trascurabile, a che servì per rimuovere un ostacolo. E lui racconta a quali livelli si mosse la lotta di potere, giocata su un piano d’incommensurabile miseria rispetto agli interessi nazionali in gioco. Per questo è utile ricordarsene oggi, perché perdere di vista l’interesse generale — privilegiando la scacchiera del potere immediato — è la colpa più grande di una classe dirigente. E gli errori commessi allora si riflettono nelle difficoltà incontrate successivamente e ancora nel presente. Conoscere serva almeno a evitare di rifarlo.